GIORNALONI DI BORGATA, A OCCHI CHIUSI SUL MONDO

Capisco che si cerchi di mettere in evidenza quel che importa ai più, ma rilevo il fatto. In una fredda e poi mite domenica di dicembre del duemilaeventitrè, vedo dalle prime pagine dei giornali che siamo un Paese provinciale. Un po’ leghista vecchio stampo, se posso, a coltivare il proprio orto e possibilmente a recintarlo. Anche nell’informazione e anche nella stampa nazionale.

A partire dalle prime pagine di “Repubblica” e “Corriere della Sera”, i due quotidiani più venduti in Italia. Mille cose, sparse qua e là, tra un richiamo pubblicitario e un riquadro che per forza bisogna spingere in prima pagina, ma niente Medio Oriente, niente Ucraina, niente Iran, tutte questioni fuori radar, oltre il quartiere di residenza, anche se ogni sussulto comunque ci dovrebbe coinvolgere e condizionare, politicamente, socialmente e soprattutto umanamente.

Prendiamo il “Corriere”, il primatista: il Medio Oriente arriva a pagina 16, l’Ucraina a pagina 19. A pagina 21 l’Iran e il blocco imposto ai genitori di Mahsa Amini, in partenza da Teheran destinazione Strasburgo, per ritirare il premio Sakharov assegnato alla figlia.

Noi siamo presi da altro, anche giustamente a volte, non proprio sempre. Disgrazie locali, manovre economiche in Italia e in Europa, i garanti dell’educazione, varie ed eventuali, e su “Repubblica” pure, “cosa direi alla figlia che non ho mai avuto”, firmato Michela Murgia e pace all’anima sua.

Bene tutto, ma nel mondo accadono cose che non possiamo e non dobbiamo allontanare verso le retrovie. Condizionano la nostra vita sociale e politica e soprattutto condizionano e chiamano in causa le nostre coscienze. A pagina 21 del “Corriere” compare anche un’intervista che dovrebbe stare nel menù intellettivo di ogni ragionevole essere umano e bene che il giornale l’abbia pubblicata, ma sono convinto che avrebbe meritato maggiore esposizione, avrebbe meritato maggiore coraggio editoriale.

Si tratta dell’intervista a Nasrin Sotoudeh, compagna di lotta del premio Nobel per la pace Narges Mohammadi. Iraniana, in carcere fino al 2021 e ora libera per motivi di salute, ma sempre sotto i riflettori delle squadre della morte e della tortura, in quanto avvocato che si occupa di diritti umani e in quanto cervello fine e impegnato che esprime idee chiare e ragionevoli in merito alla rivoluzione. Idee che nascono in Iran ma hanno corso e cittadinanza ovunque e meriterebbero prime pagine e riflettori, se solo il coraggio editoriale obbedisse al pensiero e non solo al commercio. E ai nostri bassi interessi di pubblico.

Nessun problema, l’intervista c’è, le notizie ci sono, sia pure striminzite, si tratta di avere pazienza e cercarle. Rimane un po’ di rammarico, perché abbiamo imparato che la vetrina è importante: se è ben allestita e qualcuno si avvicina, l’effetto esca è garantito.

Ma come per le sciagure che non ne vogliono sapere di levarsi dalle scatole, anche per le idee non è mai tempo, nemmeno a Natale.

Un’idea in vetrina poi, che razza di idea.

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