Ma Balotelli Mario è un caso, non proprio umano da Costanzo and D’Urso, ma qualcosa che costringe illustri opinionisti ad occuparsi di lui, come fosse un eroe randagio (chiedo scusa a Giovanni Arpino), un naufrago sulla zattera dorata, alla deriva. Non è così.
Balotelli Mario è uno che sa giocare egregiamente a pallone ma non a calcio. Sono due cose differenti se non opposte. Conosco gente che sa tirare cazzotti ma non sa che cosa sia la boxe, idem per chi sa accelerare a duecento all’ora ma non conosce le curve e i rettilinei della Formula 1.
Il problema è questo, al di là della male educazione, due parole distinte, perché il passato del tipo potrebbe anche giustificare certi comportamenti anomali ma, per favore, il calcio dei professionisti non è una comunità di recupero, non è sempre necessario ricorrere a Freud per spiegare virtù e qualità di un calciatore.
Balotelli era una promessa ma è stato soltanto una premessa. Amici bergamaschi, di grande competenza calcistica, mi hanno raccontato come il bocia fosse già bullo nell’età adolescenziale. Si presentò al campo militare di Bergamo in un provino per ragazzini, Nazareno Fioretti era il “coach” e arbitro della partitella, Balotelli scalciò un avversario e Fioretti fischiò la punizione, il futuro fuoriclasse del nulla reagì sputando addosso allo stesso Fioretti che fermò il gioco e mandò a casa lo screanzato.
Nessuna nuova, dunque, quello era e quello è, pigro e strafottente, di grande talento e di fisico potente ma niente affatto prepotente se non nelle vicende gossippare della sua personale vita. Fioretti fu il primo, a seguire cento altri allenatori e gestori, mica debuttanti ma Mourinho e Mancini, Prandelli e Conte, Allegri e Tassotti, Seedorf e Brendan Rodger, Mihajlovic e Brocchi, Vieira e Garcia, così per dire, tutti in border line nervoso di fronte a un personaggio fuori dal tempo e dal gioco. Uno spreco di muscoli e di gambe, di tecnica e di potenza, un peccato mortale commesso con l’incoscienza di una generazione professionale che è cresciuta con il sederino nella nutella, stimolata dai denari sontuosi garantiti dai procuratori, con la complicità di dirigenti e la pazienza degli allenatori e dei compagni di squadra.
La ricerca del Balotelli perduto è uguale, per lunghezza, al capolavoro di Proust ma non c’è nulla di letterario, non c’è nulla da apprendere, semmai da dimenticare e cancellare. Anche perchè ormai siamo veramente agli sgoccioli. Sul binario morto. La decisione di licenziarlo, ad opera del Brescia di Cellino, lo equipara a un qualunque lavoratore, impiegato, parastatale. Lui, difatti, esibisce certificato medico.
E’ la peggiore umiliazione per chi pensa di vivere con lo specchio tra le mani e l’alibi del colore della pelle, in esclusiva mondiale. La disoccupazione gli darà altra gloria. Troverà avvocati di giornata e cantori di comodo. Si replica.