E SAREBBE L’OBOLO DI SAN PIETRO

di ARIO GERVASUTTI – Dice Luca (l’Evangelista, non il nostro Serafini): “Non potete servire Dio e il denaro”.
Dalle parti del Vaticano non hanno mai messo in dubbio questo avvertimento. Infatti, duemila anni dopo, hanno scelto: il denaro. Altro che “sterco del diavolo” di luterana memoria: alta finanza, quella sì. Oddio, non proprio “altissima”: i personaggi sono gli stessi che furoreggiano da anni in quel sottobosco di finanziarie e fondi lussemburghesi, che saltano fuori nelle carte di tutte le inchieste sui crac che contano, e che immancabilmente restano a galla e a piede libero. Ed è a lorsignori che si accompagnano i monsignori per amministrare le casse del Vaticano. Che affidano il denaro dei fedeli. Trecento milioni di qua, palazzi a Londra di là… E’ dai tempi del “banchiere di Dio” Calvi che le cose funzionano così, all’ombra del Cupolone.

Non che nei secoli passati sia andata diversamente: nel medioevo il trono di Pietro si comprava ed era appannaggio dei casati più ricchi. Se il Papa era un uomo pio e giusto, tanto di guadagnato; altrimenti, amen.
Da questo punto di vista la fine del potere temporale e la riduzione del Vaticano a uno Stato simbolico ha perfino migliorato, e di molto, la situazione. Ma chiunque si affacci da quella finestra in piazza San Pietro deve prima o poi fare i conti con l’eterna contraddizione: la carità costa. Tradotto: se vuoi una Chiesa povera, non hai le risorse per aiutare i poveri. Quindi se vuoi aiutare i poveri devi prima produrre le sostanze con le quali aiutarli: e per produrre le sostanze, dal momento che non hai industrie e commercio oltre alla vendita di francobolli, devi affidarti alla finanza per trasformare in reddito l'”obolo di San Pietro”, ovvero le offerte che finiscono nelle cassette delle chiese. Non solo le monetine lasciate al parroco, ma anche eredità, donazioni immobiliari, lasciti di ogni tipo. Una massa di ricchezza che va amministrata, mica ci può pensare il curato di campagna.
Fin qui, tutto giusto e comprensibile. Ma la comprensione si interrompe sulla soglia di San Pietro, perché oltre quelle mura la Chiesa è un’altra Chiesa. E’ potere, trame, siluri che a Montecitorio, in quel bordello della politica che è il parlamento italiano, in confronto sono dei dilettanti. E difatti, il primo a denunciare il peccato è addirittura il Papa, che chiede trasparenza e pulizia, pubblicamente, senza ipocrisie, in nome di Dio.
E si torna alla base di tutto: anche se vestiti di rosso cardinalizio, anche se al cospetto dei Santi, Lorsignori Monsignori sono uomini. Né più, né meno. E la loro umanità ingenuamente delude, perché li immaginiamo il nostro tramite con Dio, con l’Entità Superiore, con l’Oltre: “Se questa è la Chiesa – ci domandiamo – ne abbiamo davvero bisogno per parlare con Lui?”.
Ci illudiamo di trovare sotto ogni tonaca un santo, quando invece non dovremmo concentrarci sull’uomo che la indossa bensì solo sulla veste. Sul simbolo, non sul soggetto. E per una volta, rovesciare le parti: “Ego te absolvo”. In nome nostro, non certo in nome del Padre, né del Figlio, e men che meno dello Spirito Santo.

Un pensiero su “E SAREBBE L’OBOLO DI SAN PIETRO

  1. Orfeo Benaglia dice:

    Il denaro e ciò che ha insegnato Gesù non stanno bene insieme.
    Posso aggiungere un pensiero?
    Non vorrei essere al posto di papa Francesco. È circondato da lupi,squali,iene,serpenti,da falsità spaventose.
    Lui ce la mette tutta a contrastare e raddrizzare le “storture vaticane” le prova tutte.
    Non so perché ma mi ricorda Falcone alle prese con la mafia e una certa politica.
    Certo non lo faranno saltare in aria. Ma ripeto non vorrei essere al suo posto. Deve,per cosi dire, ingoiare bocconi amari.
    Forza Francesco.

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