EUTANASIA, L’IGNAVIA COLPEVOLE DEL PARLAMENTO

Il blog di “Huffington post” ha pubblicato un articolo dal titolo: “Eutanasia, 15 anni di ingiustificabile silenzio del Parlamento italiano”, che riproponiamo nei passaggi salienti sottoponendolo alla riflessione e alle conclusioni dei nostri lettori.

“Era il 22 settembre 2006 quando Piergiorgio Welby scrisse lettera aperta al presidente Giorgio Napolitano per chiedere l’eutanasia. “Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso – morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita – è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio… è lì, squadernato davanti a medici, assistenti, parenti”. L’allora presidente della Repubblica rispose augurandosi che il tema fosse affrontato nelle sedi più idonee. Aggiungendo “che il solo atteggiamento ingiustificabile sarebbe il silenzio, la sospensione o l’elusione di ogni responsabile chiarimento”. E sono proprio un ingiustificabile silenzio e l’elusione di ogni responsabile chiarimento le uniche risposte del legislatore in questi 15 anni.

Il 13 settembre del 2013, con l’Associazione Luca Coscioni e altre organizzazioni, abbiamo depositato alla Camera dei Deputati una proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia, che aveva raggiunto le adesioni di circa 70.000 cittadini. Il Parlamento non ne ha mai discusso. Nel 2014, insieme a persone malate, medici, infermieri, cittadini e personalità abbiamo lanciato un video appello, “Parlamento fatti vivo”, per sollecitare una risposta. Il Parlamento non è riuscito a riunirsi e a discuterne nemmeno per un minuto.

Nel 2016, dopo un’attesa di 2 anni dal deposito di quella proposta di legge,  Marco Cappato, Mina Welby e Gustavo Fraticelli hanno annunciato che, fino a quando non fosse stata approvata una legge sull’eutanasia in Italia, avrebbero aiutato le persone in determinate condizioni a morire. Una disobbedienza civile per portare i divieti in vigore all’attenzione dei giudici di ogni ordine e grado. E così Fabiano Antoniani e Davide Trentini sono stati aiutati a raggiungere la Svizzera per porre fine alle loro sofferenze, come chiedevano da molto tempo.

Fabiano Antoniani, a seguito di un incidente stradale, era tetraplegico, cieco, con dolori insopportabili e intrattabili. Non era in uno stato di abbandono terapeutico e affettivo, come non lo era Welby, ma Fabiano voleva porre fine alle sofferenze costanti e alle quali non c’era rimedio. Era lucido e consapevole delle conseguenze delle sue scelte. L’aiuto materiale a realizzare il suo desiderio, fornito da Marco Cappato nel 2017, era però punibile dell’articolo 580 del Codice penale con la reclusione da 5 a 12 anni, trattato e punito come l’istigazione al suicidio.

I giudici della Corte di Assise di Milano sollevarono il primo incidente di costituzionalità su questo articolo perché non distingueva situazioni diverse, escludendo che l’aiuto al suicidio potesse mai considerarsi legittimo e violando così i diritti affermati dalla Costituzione. La Corte Costituzionale nel 2018, con Ordinanza di incostituzionalità accertata ma non dichiarata, stabilì il rinvio di udienza di 11 mesi al fine “consentire, nella specie, al Parlamento ogni opportuna riflessione e iniziativa, così da evitare, per un verso, che, nei termini innanzi illustrati, una disposizione continui a produrre effetti reputati costituzionalmente non compatibili, ma al tempo stesso scongiurare possibili vuoti di tutela di valori, anch’essi pienamente rilevanti sul piano costituzionale”. Neanche dopo questo sollecito il Parlamento è intervenuto.

Nel 2019 la Consulta ha emesso sentenza di incostituzionalità parziale dell’articolo 580 codice penale (sent. n. 242/19), stabilendo che non è punibile l’aiuto fornito a una persona malata, affetta da malattia irreversibile, fonte di sofferenze intollerabili, con presenza di trattamenti di sostegno vitale, capace di autodeterminarsi. Condizioni che devono essere tutte presenti e accertate da da una struttura pubblica del Servizio Sanitario nazionale previo parere del comitato etico, l’aiuto non è punibile. Nell’indifferenza parlamentare, la Corte ha insomma ribadito la disponibilità della nostra vita, richiamando alcuni articoli costituzionali e alcune leggi già esistenti nel nostro ordinamento.

Attualmente la legge italiana prevede 3 modi di disporre della propria vita: il diritto di rifiutare le cure anche se questo rifiuto causa la morte; il diritto di essere sedato in maniera profonda e continua; il diritto di ricevere un aiuto attivo per raggiungere la morte direttamente e per mano propria. Oggi però ci sono persone che, pur avendo i requisiti necessari per l’accesso legale alla morte volontaria, non sono in grado di procedere per mano propria oppure che non dipendono da  sostegni vitali pur avendo una prognosi infausta.

Tutte queste persone sono discriminate dal sistema giuridico italiano perché aiutarle a morire, con la somministrazione di un farmaco letale da parte di un sanitario, è punito dall’articolo 579 del Codice penale e con una sanzione fino a 15 anni di reclusione. E pensare che risale a 37 anni fa la prima proposta di legge sull’eutanasia passiva dell’onorevole Loris Fortuna”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *