LA NOSTRA ECOLOGIA A CHIACCHIERE

“Inquinamento: nessuna delle 100 più grandi città del mondo è in regola con i nuovi standard dell’Oms”. Una dichiarazione perentoria che aggiunge ansia al grande eco delle notizie drammatiche sull’ambiente e sui rischi per la salute.

Cosa è successo? L’Organizzazione mondiale della sanità ha finalmente cambiato i parametri stabiliti nel lontano 1987 – alla buonora – nel calcolo dell’esposizione alle maledette micro particelle prodotte dalla combustione, che si infilano subdolamente nei nostri polmoni. Con i precedenti indici le città in regola erano invece 79. Si calcola che siano sette milioni all’anno le vittime per questo tipo di inquinamento.

Questo annuncio avrà un serio impatto sul “C40”, il network delle più grandi capitali mondiali che sono attive contro le emissioni di gas serra. Dodici di loro – tra cui Parigi, Milano, Londra e Barcellona – nel 2017 si sono impegnate formalmente a trasformare una parte importante delle proprie città in territori a emissioni zero. Temo che ora dovranno rifare i calcoli e impegnarsi un pochino di più.

Mai come in questi ultimi anni si parla di sostenibilità ambientale ed economica, ma molto spesso assistiamo a quello che viene definito efficacemente con un neologismo inglese “greenwashing”: cioè un ambientalismo puramente di facciata. Mettiamo le paroline giuste nella comunicazione e modifichiamo le posture facciali, ridefiniamo le politiche aggiungendoci un tocco qua e là di rispetto dell’ambiente, pronunciamo discorsi solenni e inventiamo proclami altisonanti. Difficile a prima vista distinguere chi fa sul serio e chi vuole semplicemente saltare sul carro del vincente “politically correct”. La differenza sta nel crederci veramente, convincersi che non ci sono più alternative possibili e agire con costanza e coerenza, anche in silenzio. Dando il buon esempio e andando al sodo, senza distrarsi.

Il punto di non ritorno è stato oltrepassato da un pezzo. Per le aziende non esiste più la ricerca del profitto e basta, costi quel che costi, bisogna cominciare a tutelare seriamente gli interessi anche dei dipendenti, della comunità, dei fornitori, delle istituzioni: gli azionisti non sono più i soli al centro di tutto. Per le amministrazioni pubbliche bisogna pensare a piani a lungo termine che non si fermino alle prime elezioni comunali, è necessario creare le competenze giuste e fare formazione. Per noi cittadini ormai è venuto il momento di cambiare lo stile di vita, abbandonando abitudini e atteggiamenti basati sullo spreco delle risorse e sull’indifferenza verso l’ambiente.

Di solito ci pavoneggiamo con “io le idee le avrei pure, è che non ci sono i soldi”. Con i 69 miliardi destinati alla transizione ecologica abbiamo rovesciato il paradigma: adesso abbiamo una montagna di soldi, forse non sappiamo bene come spenderli. Eppure resta un’occasione d’oro da non perdere. Magari l’ultima.

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