EUREKA, COSI’ GUARIRA’ LA NOSTRA SCUOLA: DEVE DIVENTARE FINLANDESE

C’era una volta la scuola all’italiana: magari, era un tantino selettiva e discriminava qua e là sul piano sociale, però tutti ce la invidiavano e i nostri geometri, i nostri medici o i nostri filologi erano piuttosto apprezzati sui mercati internazionali. Poi, è venuto il Sessantotto, o, meglio, quel malanno cronico che si chiama “Sessantottite”: ovvero la bella pratica di criticare, sbeffeggiare e voler cancellare tutto ciò che viene dal passato, senza, però, sostituirlo con qualcos’altro. La fantasia al potere. Solo che, alla prova dei fatti, la fantasia da sola vale pochino: ci vogliono anche pratica e grammatica, altrimenti non si va da nessuna parte.

Infatti, la nostra scuola ha intrapreso una china perniciosa alquanto, fino a diventare quel carrozzone inefficace e cervellotico che sappiamo. Tra le altre coserelle che questa smania innovativa ha introdotto c’è anche quella del pensare che gli altri siano sempre più bravi di noi e che ogni trovata partorita fuori dai nostri confini sia la panacea. Ricordo perfettamente quando, a forza di corsi di aggiornamento e di formazione, si è cercato in ogni modo di introiettare nelle menti degli insegnanti la meraviglia del cognitivismo americano, la gioia suprema della tassonomia di Bloom, la medicina costruttivista et cetera.

Certo, tutte boiate: ma boiate che hanno disgregato l’impianto educativo gentiliano, senza proporne un altro che funzionasse. Anzi: proponendone uno che, palesemente, non funziona. Questo perché un difetto strutturale delle riforme scolastiche è quello di occuparsi sempre e solo dei contenitori e mai dei contenuti.

Su questa stessa linea mi pare collocarsi la scelta di imitare il nuovo paradiso educativo mondiale: la Finlandia. No, dai, non vi mettete a ridere: lo so che pensare di riprodurre, chessò, a Caltagirone, i meccanismi scolastici di Tampere appare un’idea grottesca. In Finlandia, funziona tutto: sono quattro gatti, spendono un sacco di soldi per l’istruzione e forniscono servizi per noi inimmaginabili agli studenti. Da noi, in certe scuole, si portano a casa i banchi per non farli rubare. Però, a una dirigente di un istituto di Urbania, che, da anni, studia i sistemi educativi esteri, è venuta l’idea di trasformare la sua scuola in una succursale suomi: compattazione delle discipline, full immersion, adattamento del curricolo.

In altre parole, i suoi studenti faranno per mesi soltanto due o tre materie e, poi, a rotazione, si concentreranno sulle altre. La cosa, soprattutto per quanto riguarda la memoria a lungo termine, pare una buona idea: rimane, però, un problemino. Il solito problemino, accidentaccio. Noi non siamo la Finlandia. I nostri insegnanti escono dai concorsi (quando ci sono i concorsi) già frustrati: sovente impreparati o preparati ad altro, i professori italiani sono il problema. Non la scansione oraria e nemmeno il curricolo: le persone, la qualità dei professionisti fa acqua.

Non me ne voglia la gagliarda dirigente di Urbania: non dubito che conosca a menadito le correnti epistemologiche del sapere mondiale e si muova agevolmente tra dottrine docimologiche complesse. Qui, però, stiamo parlando di una sperimentazione che può funzionare – e, magari, funzionerà benissimo – in una microrealtà beata: il mondo della scuola necessiterebbe di un approccio meno iperuranio e più sostanziale. Banalmente sostanziale: i contenuti, il sapere da trasmettere. Perché se tu non sai un tubo, puoi insegnare a ore compattate, a ore bislunghe, a ore intrecciate: non cambierà nulla. Perché non insegnerai nulla. Nemmeno se parli il lappone come un Sissit.

Un pensiero su “EUREKA, COSI’ GUARIRA’ LA NOSTRA SCUOLA: DEVE DIVENTARE FINLANDESE

  1. cristina dongiovanni dice:

    Buongiorno, tutte le correnti del mondo pedagogico ed educativo servono a farci capire che siamo indietro. Servono a mettere in risalto alcune caratteristiche importanti sia dell’approccio didattico di chi educa che di quello cognitivo strumentale di chi impara. Sono utili dialetticamente per evitare di ridurre il sapere alla pratica dello spiego-studio che in molti e troppi ambiti è tristemente utilizzato con i risultati che conosciamo. Dunque secondo me qualsiasi spunto psico-pedagogico è benvenuto, ed anche l’introduzione di un nuovo metodo del tutto nuovo. Poi sono con lei quando si parla di contenuti e soprattutto di come vengono utilizzati. Per questo dobbiamo chiamare in causa direttamente le università. Che sono un disastro perché rimangono sui testi, sulle tesi, sulle teorie. Se un chirurgo per per divenire tale deve praticare un serio tirocinio, un insegnante viene buttato tra la folla dei banchi senza nessuna preparazione pratica. Senza un affiancamento, senza nulla. Siamo troppo ottimisti, un popolo di grandi ottimisti..

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