Un’estate qualunque, noiosa come solo l’estate sa essere, con l’imposizione del trasloco turistico obbligatorio e gli stagionali del fuoco a ogni longitudine. E poi tutto il resto, che non è diverso dalla noia delle altre stagioni, ma porta con sé quel senso di inevitabile e doveroso.
Ad esempio, dopo le polemiche e i bronci arrivano le pubblicità che annunciano i programmi dell’autunno, il tempo che farà di Fazio e della Littizzetto. Fine luglio, inizio agosto, e già gli annunci sono implacabili, per il vernissage che sarà a ottobre, roba da nausea ante eventum. Ad esempio.
Poi le parole. Ogni estate ha parole che creano polemiche, ce ne sono sempre, in ogni stagione in verità, ma con le infradito sono più sbarazzine e invocano la serialità, almeno fino a settembre. Il “decerebrati” che la De Gregorio rifila agli influencer è la parola del momento e non farebbe né caldo né freddo, se non vivessimo tempi permalosi e titubanti allo stesso tempo. Quelli si offendono, quella si affretta a specificare, col risultato che tra cerebri lesi e cerebri assenti a uscirne offesa è proprio la materia grigia.
La lotta di classe non può mancare, mai, e allora basta un treno appena sopra la media, non proprio quello del pendolare novembrino, per dare il via al feuilleton dell’estate. Sir Elkann e gli sciatti lanzichenecchi hanno chiamato in causa tutti, ma proprio tutti, anche Proust purtroppo, che non trarrà beneficio da tutto questo, o forse sì, essendo il prodigio linguistico che è e nonostante sia finito sui binari sbagliati.
I prezzi poi, i prezzi dei lettini, degli ombrelloni, dei toast divisi per due con resto di niente, delle pizze pazze e tutto il resto. Dopo il Covid tutto è lecito, tra vent’anni ancora qualcuno riuscirà a giustificare il sovraprezzo con il trauma e le perdite del 2020, mentre continuerà a risultare oscuro il motivo per cui anche in estate ci si debba ammassare gli uni addosso agli altri, esattamente come negli altri periodi dell’anno, come in autostrada, come nei supermercati, come in coda negli uffici per chiedere il passaporto.
Non manca la tuttologia, ramo del sapere – non fosse una contraddizione in termini -, ormai imprescindibile. Il mio eroe, non da ora a dire il vero, è il ministro Salvini, il quale la sa sempre più lunga di tutti quanti, non importa il tema, non importa lo svolgimento. Sul clima e sui cambiamenti climatici non poteva esimersi e invero non si è fatto pregare. Sono corsi e ricorsi storici, ci fa sapere, strizzando l’occhio, e serafico scodella la massima che toglie l’assillo e rasserena gli animi: a volte più, a volte meno, d’estate fa caldo e d’inverno fa freddo. Quando si dice il sollievo.
Dimenticavo gli stipendi dei deputati, miseri come mai e come ci ricorda Fassino, tempista come pochi a rappresentare una sinistra che sentiva giusto la mancanza di un sindacalista che rivendicasse le ristrettezze di classe. Armocromia, micragna e progetto politico, a ognuno il compito di scovare l’intruso.
Poi il resto. Già in fase di annoiata assuefazione l’invasione russa dell’Ucraina. Ci sarebbero anche i migranti e qualche barca che si ribalta, qualche morto anche, ma è roba buona per ogni stagione, come gli insegnanti di sostegno che a settembre come negli altri mesi si avvicenderanno e saranno sostituti dal primo che capita, come il fine vita del quale il Parlamento continua a non occuparsi, come i medici di base che sono una razza in estinzione e come le radiografie e gli esami oncologici che devi fare privatamente se vuoi provare a salvarti la pelle.
Queste sì sono questioni buone sempre, senza data di scadenza. Questo le accomuna: continueremo a non occuparcene e arriverà un’altra estate, con gli incendi, le parole fuori posto, gli scontrini gonfiati e gli spot per le trasmissioni che verranno. E un po’ di civiltà in meno, ancora e poi ancora.