E’ GIAMBRUNO IL VERO EREDE DI SILVIO

I suo amici – pare ne abbia ancora – lo descrivono con cruda metafora: sta sotto al treno. E ti credo: da giorni e giorni il mondo intero lo sta facendo a dadini, senza alcuna misericordia, come succede immancabilmente a chi gioca a Dio nel modo più smaccato e poi pestando la banana giusta finisce nella polvere. Regolare, matematico: la stessa umanità che si sdraiava a zerbino, dopo è prontissima a infierire senza pietà, un implacabile tiro al piccione in cui diventa inutile specificare chi sia il piccione.

Ma è davanti a questa feroce lapidazione, a questo incontrollato sbocco del moralismo più fariseo, che io sento il dovere di spezzare un paio di lance a favore del piccione Giambruno. Non esiste, deve finire questa crudeltà. Parliamoci chiaro: come minimo, c’è una vergognosa disparità di trattamento, uno strabismo giustizialista, un due pesi e due misure che quanto meno dovrebbero indurci a tirare i freni. Ma cos’ha questo Giambruno di così diverso dal suo maestro, da quel Silvio che abbiamo appena pianto e magari persino rimpianto.

Guardiamolo, Giambruno. Guardiamo le sue colpe. Io vedo una replica – molto promettente, in quanto a sviluppi – di ciò che ci siamo gustati per tanti anni. Cioè un certo italiano, che piace tanto a certi italiani, che punta tutto sul simpaticismo pecoreccio e amabilmente sporcaccione di una tradizione feconda. E’ il maschione compiaciuto della propria virilità che davanti alle femmine si pone stabilmente in modalità tacchino. E’ il mattacchione che si sente irresistibile nei ritrovi da cresima e matrimonio, da Ferragosto e Capodanno. E’ il glorioso italiano da addio al celibato. Invitami e vedrai che la tua festa resterà indimenticabile, come ti tengo su io l’ambiente non lo tiene nessuno.

Sì, non c’è niente di sconvolgente: Giambruno semplicemente perpetua l’italiano di successo che promette ai giocatori della sua squadra un pullman di troie (citazione letteraria), è il piacione sicuro che nessuna femmina può resistergli, è il cascamorto galante che corteggia a tutto spiano, sia lei una valletta, una truccatrice, una conduttrice, una ministra. Eventualmente, tanto per variare sul tema, nei summit internazionali fa simpatia con le corna nella foto ufficiale, che mortorio sarebbe sta cosa se non ci fossi io.

Con qualche capello in più, Giambruno è soltanto una replica. Un clone. Un erede. Si è limitato a tenere in piedi il modello del maestro. Eppure, gli hanno stroncato la carriera sul nascere. Un’ingiustizia scandalosa. Riavvolgendo la bobina della storia, noi vediamo che a un elemento del genere abbiamo consegnato le chiavi dell’Italia per quasi trent’anni. Tutto quello che adesso non perdoniamo a Giambruno, nel caso del suo mentore ci è piaciuto un sacco, era valore aggiunto, faceva epopea.

Cos’è adesso questa inversione a U? Cos’è questo sussulto di moralismo talebano? Se Silvio era così simpatico e adorabile, uguale è Giambruno. Diciamolo: di tutti i berluschini apparsi in questi anni, senza anima e senza sugo, il Giambry è quello che più si è avvicinato al sommo. Aveva – avrebbe – tutte le carte in regola per raccoglierne l’eredità. Oltre tutto aveva – avrebbe – ampi margini di miglioramento. Si sciacquino la bocca, certi italiani: Giambruno è il leader in sonno del mitologico popolo delle libertà. Come se le prende lui, non se le prende nessuno.

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