DI SERIE A E’ RIMASTO SOLO IL DISASTRO

Schiacciato nella folla metropolitana delle notizie di mercato, pigiato in fondo alle pagine tra sogni di mezza estate, trasferimenti e trattative sultane, l’articolo dei quotidiani non solo sportivi è il solito campanello – anzi una sirena – di allarme, totalmente inascoltata nel frastuono della scelleratezza del calcio italiano.

A Coverciano, sede federale del nostro centro tecnico e quartier generale della nostra Nazionale buttata fuori dai Mondiali per la seconda volta consecutiva, si è svolta una riunione organizzata dall’ufficio “Licenze e sostenibilità finanziaria” della FIGC: un po’ come allestire un convegno sul pianeta malato invitando qualche produttore di plastica, un manipolo di trasportatori navali di petrolio e un paio di incalliti fumatori che gettano i mozziconi sul marciapiede o li lanciano fuori dal finestrino.

Il quadro della serie A che ne è uscito è spaventoso. Il costo del lavoro assorbe oltre l’80% dei guadagni e naturalmente non si parla di impiegati, commerciali, uffici stampa, bigliettai e segretarie, ma di giocatori, allenatori e molti dirigenti che si danno stipendi da nababbi. Presidenti compresi.

Abbiamo le stesse perdite della Premier inglese, fatturando la metà. Incassiamo un pochino di più del quinto campionato europeo, quello francese, pur avendo Monza e Sassuolo al posto di Troyes e Ajaccio, pur avendo Milan Inter Juve Roma Lazio Napoli invece di Monaco Lione Strasburgo Nizza Clermont Montpellier. Facendo com’è noto il PSG un campionato finanziario per conto suo in Francia e in Europa.

L’Italia spende il 70 (settanta) per cento dei suoi incassi al calciomercato tra cartellini, ingaggi e commissioni ai procuratori: ignora nella maniera più assoluta le normativa Uefa che impone entro il 2025 di non superare la soglia del 70%, sì, ma sui ricavi, non sugli incassi. L’Italia se ne frega: spende, spande, sperpera, si indebita, mette in tasca. Per poi chiedere l’aiuto allo Stato per il biennio della pandemia, perché le vere uniche ricchezze del nostro calcio sono la sfrontatezza, la faccia tosta, l’atteggiamento pavido con cui relazionarsi alla vita quotidiana di un Paese in ginocchio.

La riunione ha analizzato tutto lo scempio minuto per minuto, concludendosi senza un’idea, una proposta, una soluzione, un monito per mettere un freno, per cambiare l’andazzo, la rotta. Per cambiare le teste.

Sarebbe stato difficile, del resto, far di conto sulla pluralità delle idee: erano presenti soli rappresentanti qualificati di Roma, Fiorentina e Sampdoria, oltre a una sparuta fila di sedie occupate da qualche direttore finanziario. Che tra una parola e crociata e l’altra, hanno atteso il suono della campanella per tornare a Forte dei Marmi ad assistere i loro dirigenti, che stavano offrendo oro incenso e mirra per uno stopper della Casertana. Stopper che era assente all’incontro in Versilia, avendo inviato il suo procuratore.

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