COVID A BERGAMO, IL VERGOGNOSO OMISSIS DELLE COLPE NOSTRE

E dopo tre anni, tre anni esatti, Bergamo ha rimesso tutto a posto. Se n’è incaricata la locale Procura, che non sembra avere dubbi: in quell’inferno si potevano evitare 4000 morti, se solo a Roma e Milano avessero compiuto il loro dovere.

E’ la soluzione perfetta, che difatti sembra bastare a tanti parenti delle vittime, visibilmente consolati da queste conclusioni: abbiamo i colpevoli, stanno fuori da qui, lontani, insensibili e incapaci. E noi di Bergamo? Noi vittime inermi delle decisioni prese – non prese – ai piani alti.

E’ la soluzione perfetta. Certo la più semplice e la più comoda. Ma non è la verità. Non tutta. A questa ricostruzione manca una grossa fetta, perchè altrimenti quando racconteremo ai nipoti cosa davvero successe quella volta dell’apocalisse, non la racconteremmo tutta.

E allora bisognerà armarsi di coraggio e aggiungerla, questa fetta di verità. Non per levare di dosso le responsabilità ai pezzi grossi di Regione e Governo, ma per dirla tutta. Magari è un pezzo della storia che non interessa ai giudici, perchè difficilmente ci sono dentro reati, ma è forse la più importante e la più decisiva. Riguarda noi, qui, nell’occhio del ciclone. Quello che abbiamo fatto, ma soprattutto quello che non abbiamo fatto noi per primi. Chi ha una coscienza non può evitare l’esame di coscienza, mascherandosi dietro le colpe e le omissioni di Roma e Milano.

Certo è molto meno comodo che dar la colpa a quelli fuori, a quelli lontani. Ma non si può tacere. In quei giorni, noi siamo stati i primi a mancare. La mancanza di umanità e di sensibilità non è un reato penale, ma resta una colpa insostenibile. Quella, però, ha dominato i primi giorni di pandemia.

Dice ai giornali il procuratore Chiappani: “La gente deve sapere cos’è successo, senza quegli errori avremmo avuto meno morti”. E’ giusto però dire che accanto alle colpe esterne, magari anche prima, vengono le nostre.

In quelle iniziali ore di allarme, di sbandamento, di terrore, amministratori locali e imprenditori locali furono in prima linea non tanto nel chiedere a Roma e Milano interventi decisi e immediati, tipo chiusure, zone rosse eccetera eccetera, ma furono in prima linea per evitare che accadesse. Mentre Codogno si muoveva in un certo modo, il modo virtuoso che poi abbiamo tutti applaudito, da noi si sentiva l’antica litania di chi pensa solo a far soldi, come fai a chiudere Alzano e Nembro, queste sono le zone vitali della nostra economia, ci sono gli ordini dell’estero da onorare, ci sono bar e ristoranti che vanno in malora, ci sono i negozi che rischiano il fallimento, già messi in ginocchio dagli ipermercati (che comunque abbiamo fatto aprire noi), eccetera eccetera. Personalità politiche andavano a mangiare dai cinesi, al grido basta con questa stupida psicosi. Memorabile l’orgogliosa campagna “#Bergamo non si ferma”, contro ogni ipotesi di chiusure. Sono poi più o meno gli stessi che più in là cavalcarono il moto d’orgoglio Berghem mola mia, quelli che davano di testa per farla finita con questi stupidi lock-down, quelli che malsopportavano l’inutile mascherina.

Come fai a chiudere, queste sono zone vitali, mandano avanti l’Italia, sai mica quanto ti costa una settimana di paralisi, io gli operai devo pagarli lo stesso. Queste erano le grida, su Youtube, sui social, nelle tv locali. Sindaci, assessori, industriali, commercianti e compagnia cantante.

Mettere in forse il fatturato, qui, è blasfemo. Purtroppo, anche in quei giorni.

E ti credo che di fronte a una simile ondata di facce storte Milano e Roma tergiversano, aspettano, non si muovono. Lo sappiamo come sono i poteri centrali: fiutano che aria tira a livello locale.

Se da Bergamo quella volta fosse partito una unanime e veemente richiesta di chiudere, Milano e Roma avrebbero chiuso (e comunque un vero sindaco, davanti al cataclisma, si assume la responsabilità di chiudere in prima persona per salvare la sua gente, senza aspettare ordini).

Non c’è la controprova? Va bene, non c’è la controprova. Ma resta il fatto certo, la storia vera: i primi a non volere zone rosse tra i piedi fummo noi, operosa gente di Bergamo. Tra la salute e i denari, anche quella volta scegliemmo il denaro. Punto. Il resto, fuori, si aggiunge come conseguenza, non come causa.

Certo che adesso siamo tutti d’accordo nel gridare “bisognava chiudere”. Ma la verità è che noi la chiusura la vogliamo adesso, dopo aver contato seimila morti, dopo averli caricati sui camion militari, dopo aver salutato i nostri cari e non averli più visti. Dopo siamo tutti bravi e decisi. Ma prima, quella volta, abbiamo commesso un peccato mortale. Vogliamo chiamarlo semplicemente insensibilità, avidità, egoismo? Forse facciamo prima a dire un po’ di tutto questo. Non servono inchieste, processi e sentenze per saperlo.

La cosa fondamentale, adesso, sarebbe almeno riconoscerlo. Anche solo per dimostrare che qualcosa abbiamo imparato, anche solo per essere pronti in modo diverso davanti a nuove tragedie. Invece sembra proprio che ci interessi solo sbianchettare un pezzo scomodo e imbarazzante della nostra storia, calcando addosso ad altri tutte le colpe.

Ci eravamo detti ne usciremo migliori, ma non sono sicuro sia andata a questo modo. E così sia.

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