MA COSA CI FA LA MAESTRA 96ENNE IN QUESTA SCUOLA D’OGGI

“Una scuola che vuole riscoprire il suo passato per affrontare al meglio le sfide del futuro”: questo l’originalissimo slogan che ha accompagnato un articoletto di “Repubblica” sul laboratorio messo in piedi dalla scuola primaria di Tavernelle, intitolata a Don Milani.

Siccome commentare le altrui cronache è parte del mio mestiere, commenterò: e la notizia è che, per raccontare le proprie esperienze, è tornata in cattedra la maestra storica del paese, la novantaseienne Irene Verdi, invitata dal responsabile del suddetto laboratorio, che di Don Milani fu allievo, in quel di Barbiana. Ora, a prescindere dal fatto che io consideri Don Milani una figura catastrofica nella storia educativa della nostra nazione, tanto da dedicargli perfino un capitolo di un mio libretto sulla scuola italiana, la figura della maestra che, da vegliarda, torni a raccontarsi ai ragazzini, mi fa tenerezza.

Sarà che mia mamma di anni ne ha cento, sarà che le letture di Guareschi mi hanno legato a quelle figure meravigliose di vecchie maestre d’antan, che si fanno seppellire col Tricolore sabaudo, fatto si è che la signora Verdi mi ispira naturale simpatia. Espressione di una scuola ancora legata a valori semplici e familiari, andata in pensione, suppongo, quando ancora il sistema educativo non era stato del tutto azzoppato e calpestato dalle millanta astruserie politico-didattichesi, la maestra Irene mi pare provenire da un’epoca dell’oro, per venire a parlare ai figli di un secolo di ferro.

La cosa che stride un tantino è che questo viaggio a ritroso nel tempo, questo Bildungsroman scolastico, avvenga in un contesto del genere, ovvero nell’ambito che proprio le idee un po’ eccentriche di Don Milani sul rapporto tra educazione e società hanno contribuito a creare. Non fate caso alle citazioni sporadiche che, ogni tanto, opera certa sinistra: l’”I care” donmilaniano possedeva una pesantissima valenza antiborghese e aveva senso in un paesino sperduto, rivolto al riscatto di poveri fanciulli dimenticati. L’idea di applicare la tattica di Barbiana al sistema educativo nazionale è semplicemente assurda. Come assurdo è pensare di proporre Don Milani come una figura buonista e pacificatrice: Don Milani era un incazzato cronico, che diceva cose giuste, mescolandole con la propria incazzatura.

Ben altro è ciò che, anche sulla scorta del suo messaggio, decisamente frainteso, è diventata la scuola italiana: un coacervo di accoglienza coatta, di perdonismo, di vanità culturale. Temo, perciò, che la bella e simpatica figura della veneranda maestra quasi centenaria stoni un pochino nel contesto: sia quasi la dimostrazione vivente del fallimento di certe teorie e non la loro dimostrazione virtuosa. E temo, del pari, che, se Irene Verdi, anziché passare una bella mattinata a raccontare ai bambini di Tavernelle i ricordi di una vita utile e piena di soddisfazioni, dovesse tornare davvero in cattedra, a fare il suo mestiere, quel mestiere non lo riconoscerebbe proprio. E quella scuola non corrisponderebbe alla sua scuola: quella vita non assomiglierebbe alla sua vita. Perché la nostra maestra proviene da un’epoca in cui Don Milani si poteva pure mitizzare: la nostra, invece, è un’epoca in cui Don Milani ci appare un precursore. Del disastro che poi abbiamo confezionato noi, capendoci ben poco.

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