CONFESSARE D’ESSERE PRETE E GAY

L’ultimo mio altropensiero riguardava il teatro e l’emozione che sa donare. Guarda caso, ho appena visto uno spettacolo capace sia di suscitare una riflessione su un tema molto delicato, sia di coinvolgere emotivamente lo spettatore. Si tratta de “La confessione”, un monologo interpretato da Alfredo Traversa, che ne è anche regista. La piece è tratta dal romanzo “La confessione. Un prete gay racconta la sua storia”, di Marco Politi, giornalista e tra i maggiori vaticanisti, frutto di un’accurata intervistata a un sacerdote che racconta la propria esperienza di cristiano, omosessuale e prete che non intende rinunciare ad alcuna di queste identità.

Il libro è stato pubblicato nel 2000, fu la prima testimonianza di un sacerdote cattolico che raccontava la propria omosessualità (solo in seguito sono state pubblicate altre pagine con il vissuto di altri sacerdoti).

Non si tratta di un’accusa alla Chiesa, tanto è vero che il libro conta la prefazione del vescovo Luigi Bettazzi, deceduto nel luglio scorso, che ne apprezzava il realismo con cui erano descritte la sofferenza e l’adesione cattolica del protagonista.

Nell’adattamento teatrale si è scelto di conservare sempre le parole proprie del sacerdote che mette a nudo il proprio itinerario esistenziale, critica le ipocrisie, ma non mette in discussione la convinzione che la chiamata ad essere prete provenga da Dio e che, in particolare grazie a una suora, nel mondo cattolico ha trovato anche comprensione.

Traversa da alcuni anni mette in scena lo spettacolo in Italia e all’estero, con l’obiettivo dichiarato di fornire una riflessione che è anche civile, politica, oltre che profondamente umana. A Napoli si è scelto di adottare una formula molto originale, replicando lo spettacolo una volta al mese per un semestre, fino a Maggio, con l’auspicio di mantenere alta l’attenzione sui contenuti dell’opera, anche mediante un dibattito pubblico che coinvolge altri protagonisti. Ai primi di marzo sarà a Milano.

La recitazione è molto partecipata e fa ben intendere l’intensità del conflitto interiore del protagonista. Per me, il tema centrale è il confronto con le proprie inadeguatezze, reali o percepite tali. Fatte le debite proporzioni, anch’io (e certamente non tutti, ma anche alcuni dei miei colleghi) mi sono interrogato spesso se i miei comportamenti privati, il mio assetto di personalità, i miei pensieri e le mie azioni al di fuori del setting professionale, potessero inficiare il mio agire terapeutico. E’ evidente che ho una visione quasi sacrale del mio lavoro, ma sarebbe auspicabile per tutti una riflessione tra ciò che si è e ciò che si fa.

E poi, il tema più grande in assoluto, il mistero che affascina tutti, credenti e non credenti, interrogandoci sul nostro senso più profondo: quello della fede. Fede non intesa solo come rifugio o protezione, e che può finanche procurare sofferenza a chi è impegnato con sincerità sulla strada della conoscenza di se stesso.

Al termine della rappresentazione, il regista non si è sottratto alle domande del pubblico in un dialogo mai banale, raggiungendo l’antico obiettivo per cui è nato il teatro.

Un pensiero su “CONFESSARE D’ESSERE PRETE E GAY

  1. Caterina De Fusco dice:

    Trovo come dice il protagonista Traversa, che il lavoro permetta una forte riflessione sui conflitti interiori che ciascun essere umano prova al suo interno. L’ omosessualità e l’esser prete quasi un pretesto per cercare di riflettere sui costanti interrogativi che albergano in ciascuno di noi. Un dialogo profondo con la propria coscienza, sul senso del nostro esistere sui dubbi che vivono all’interno di un individuo tra il fare, l’essere ed il sentire… Il lavoro è spunto di riflessione su quale il ruolo che scegliamo di impersonare e cosa per davvero vogliamo essere

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