La prima serata è finita alle 2 e 18. Era già mercoledì. Non è questo il problema del festival anche se, ma lasciamo perdere. C’è altro.
Per esempio: chi sono gli autori dei testi, non delle canzoni in gara, ma lo scritto del copione, la scaletta, gli intermezzi, le gag da avanspettacolo, la commozione da repertorio, i finti colpi di scena?
Vogliamo conoscere nomi e cognomi di questa squadra che costruisce il festival insieme con il letterato conduttore, sapere da dove vengono e dove vanno, quanto costano alla Rai e dunque agli abbonati cittadini, chi li ha scelti, chi li ha raccomandati, chi li spinge, perché, per come, per quanto e per quando, tempo.
Sarebbe doveroso il Var di Sanremo, fotogramma per fotogramma, trasparenza, glasnost ( parola russa, dunque severamente vietata) perché la finiscano con questa colossale finzione scenica. Si replica fino a sabato-domenica e chissà, forse anche dopo, aspettando il festival dell’anno prossimo, che è già domani.
Sono grandi professionisti, sono esperti di socialità mediatica. Sono il meglio che si possa trovare sul mercato, per questo costano. Costano tanto, compreso il protagonista semplice, stupito, rincuorante. E l’altro, il mattatore così originale, trasgressivo, colorato. Per conoscere così a fondo tutte le tensioni elettriche che possono stimolare in tanti modi diversi la preferenza, l’ilarità, il transfer di una così vasta umanità serve gente preparata, gente che non si vergogna di niente. Gente che ce la fa perché é convinta, che si auto-motiva, che sa scaldare i motori a ruote ferme. Che sa imprimere un moto immobile che non ci costa nulla, che ci proietta sulla scena che tutti i giorni vorremmo calcare, facendo protagonisti gli altri non di quello che sono loro ma di quello che siamo tutti noi. Chissà se siamo disposti ad accorgercene. Chissà se le nostre ore forse valgono qualcosa in più.