CHI HA SALVATO DAVVERO QUEI BAMBINI

Il passo che porta spediti verso la trita retorica del realismo magico sudamericano è breve. Quei quattro bambini colombiani che sopravvivono nella giungla per quaranta giorni forse sono davvero un miracolo, come annunciava il collegamento radio dei ricercatori, è difficile scostarsi dal racconto emozionato e incredulo. Tanto più che tutto era iniziato da un aereo precipitato, di per sé quasi sempre una condanna.

Eppure a discostarsi dal prodigio soprannaturale sono innanzitutto i soccorritori, coloro che non hanno mai desistito, perché la speranza, l’invocazione, ma soprattutto la ragione non volevano saperne di rassegnarsi, c’erano validi motivi per credere che fossero vivi.

Dio, gli dei, gli spettri nella giungla, impalpabili presenze come angeli a proteggere quei bambini, la natura che preserva chi la rispetta, la provvidenza. Abbiamo sentito anche questo e non voglio mostrare disprezzo per ogni evocazione del trascendente ascoltata: anche i più razionali, cinici e pragmatici tra noi devono arrendersi prima o poi all’inspiegabile, al mistero, ovunque si manifesti.

Qui però, a me sembra che la magia stia tutta nella testa di quei bambini, della più grande in particolare, Lesly, tredici anni. Lo spirito della mamma le sarà comparso più volte in questi giorni e certo le avrà dato forza e animo infiniti, ma a salvare lei e i suoi fratelli sono stati anche e soprattutto gli insegnamenti di quella mamma.

Mi immagino una bambina già grande e già prima dell’incidente, abituata a prendersi cura dei più piccoli, abituata a cavarsela tra i pericoli che si nascondono nella giungla e dintorni, una bambina sveglia e attenta, abituata a osservare, ad ascoltare i maestri intorno a lei, i maestri che le hanno insegnato la vita degli occhi, delle orecchie, della mente, delle mani, quel che serve per vivere e sopravvivere.

Quindi il miracolo c’è, ma è un miracolo niente affatto incorporeo e trascendente. Sebbene eccezionale, è un prodigio del tutto umano e spiegabile, figlio di quella madre e di chi con lei ha trasmesso conoscenza, forza, prudenza e tutte le qualità che hanno aiutato Lesly, le sue piccole sorelle e il piccolissimo fratello.

A margine, c’è un’altra retorica che chiede di essere scansata, quella che si chiede quale bambino benestante, agiato e viziato, magari europeo o americano, sarebbe sopravvissuto nelle medesime condizioni. La risposta è semplice, nessuno, e semplicemente perché ognuno riceve gli insegnamenti che sono opportuni nel contesto in cui cresce.

Non se sopravvivrebbero nella giungla quaranta giorni, ci dovremmo chiedere, ma se gli insegnamenti che scuola, genitori e società in genere impartiscono ai nostri bambini sono effettivamente quelli giusti per sopravvivere da uomini veri, giusti e rispettosi nelle loro città, nei paesi, nel nostro sedicente mondo civilizzato, e la cronaca non di rado ci dice che questo non avviene.

Tornando ai nostri eroi, c’è da scommettere che ne faranno un film, pare inevitabile, ma c’è anche da scommettere che uscirà insulso e roboante. Qui sì servirebbe un miracolo.

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