CHI ASCOLTA IL PIAGNISTEO DEI MACELLAI DI WILLY

“Vogliono accoltellarci, ci trattano da infami, ci sputano nel piatto”, così i fratelli Bianchi, Gabriele e Marco, e Mario Pincarelli, gli assassini di Willy Monteiro Duarte, massacrato senza ragione poco più di un anno fa.

Le minacce giungono dal carcere dove sono detenuti, Rebibbia, e i colloqui telefonici restituiscono le paure che imprigionano i tre “infami” più delle mura e dei catenacci alle porte.

La giustizia ha i suoi modi, i suoi tempi, si arriverà a una pena, che potrebbe essere anche l’ergastolo, ma esistono anche rese dei conti altre rispetto al corso dei provvedimenti giudiziari.

Quella dei coinquilini del carcere ad esempio, che ha ataviche e implacabili regole interne, spietate nei confronti degli “infami”, ma anche quella dell’umanità tutta, che ha guardato con raccapriccio il massacro e continua a guardare con disprezzo i carnefici. Quella divina, per chi crede, certo, e poi quella che ognuno affronta dentro di sé: in ognuno di noi trova posto un tribunale, una corte che dovrebbe essere ancora più spietata, pronta a emettere sentenze definitive, inesorabili o indulgenti, secondo i principi che ognuno di noi riconosce.

Ho la sensazione che questa corte dell’anima, con i nostri tre “infami”, sia piuttosto irremovibile. Non mi riesce di provare pietà per questi tre ammassi di muscoli, che ancora hanno profili social, che fino all’ultimo minimizzano e declinano responsabilità, che ora piangono, forse, vogliono l’isolamento, hanno paura, si comprano il cibo da fuori perché su quello interno qualcuno ci sputa sopra, ma dietro di sé tracce di disperazione per l’atto compiuto non ne lasciano.

Come se non fosse una macchia con la quale dover fare i conti, come se non fosse quella la vera condanna loro. E non lo è, ne sono convinto, e anche per questo pietà proprio non la provo.

Crudele anch’io sarò, ma vedi ora i tre energumeni, così arroganti, aggressivi, sfrontati prima, pronti a calpestare e sottomettere chiunque in nome del dio bilanciere, ignari che anche il cervello è un organo del corpo umano e a sua volta andrebbe tenuto in costante allenamento. Così mastodontici e tracotanti, prima, e ora così pecorelle impaurite, una parte che mai avevano pensato di potere e dovere interpretare, perché nel loro codice l’angoscia e la remissività nemmeno erano contemplate.

Qualcuno, da qualche parte, forse avrà pietà di loro, non io, certamente non fino a quando la loro afflizione sarà dovuta alle minacce che ricevono e non alla sentenza giusta che emetteranno su sé stessi.

“A Gabriele hanno mandato sei milioni di messaggi pieni di insulti” sui social, fa sapere il fratello Alessandro. Per dire. Hai ucciso una persona, così, senza motivo, ma il pensiero è ai social. E poi cosa pensavano di trovare, abbracci, comprensione e incoraggiamento?

Non esiste luogo dove possano trovare redenzione. Se un giorno saranno riusciti a diventare uomini, sarà perché avranno riconosciuto e attraversato l’inferno che hanno dentro.

Ma mi pare un giorno ancora lontano, molto lontano.

 

 

 

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