CHE TRISTEZZA LA CITTADINANZA DA MEDAGLIA

di MARCO CIMMINO – Io credo che non ci sia nulla di più serio e importante per un cittadino, ovvero, per un uomo civile nel senso denotativo del termine, della propria appartenenza: la questione della cittadinanza non è uno scherzetto, non va trattata come si discute di football o di meteorologia e, soprattutto, non può essere affidata ai soliti cialtroni che imbibiscono i social delle loro asinate.

Cosa faccia di noi un cittadino del proprio Paese o, meglio ancora, della propria Nazione, è, da sempre, un quesito complesso e, devo dire, non sempre risolto. Il mio caro Giano Accame usava fare il paragone tra un ascari etiope che fosse morto in battaglia baciando il Tricolore e una persona italiana da cento generazioni che, allo stadio, avesse tifato URSS per ragioni ideologiche: chi dei due considerereste cittadino italiano? Vedete bene che la faccenda è complessa. Se, poi, s’intromette la politica da lavatoio, capirete che la complessità vada aumentando.

C’è, ad esempio, qualche sprovveduto parlamentare che ha associato le medaglie d’oro di Jacobs alla necessità dello jus soli, dimenticando o ignorando che il formidabile corridore è italiano proprio in virtù di quello jus sanguinis che tanto pare infastidire certa politica: ci fosse stato lo jus soli, quelle medaglie sarebbero andate agli Stati Uniti, dove Jacobs è nato.

Vabbè, a parte le figuracce dei soliti magutti che si vogliono spacciare per ingegneri, proprio il caso delle Olimpiadi ci offre l’occasione per una riflessioncella su tutto il problema. Perché la nazionale italiana è piena di atleti di origine africana: di seconda, terza o quarta generazione poco importa. Ciò che salta all’occhio è il colore della pelle. O, meglio, questo è ciò che salta all’occhio dei politicanti di cui sopra, perché a me e a milioni come me, frega men che zero se chi ascolta l’Inno di Mameli con una mano sul cuore sia pallidissimo o più nero del carbone.

La cittadinanza è cosa che ingloba tutta una serie di questioni: la nascita, la discendenza, ma anche la lingua, le abitudini, la scolarizzazione, il prestare determinati servizi (in alcuni paesi, se la vuoi, devi fare il servizio militare, ad esempio), la fedina penale. Insomma, non è che un mattino qualche deputato o senatore con le smanie possa decidere il “liberi tutti”. Né è accettabile sentire certe castronerie a gogò sui bambini nati in Italia, che, appena maggiorenni, possono richiedere di divenire Italiani e, fino ad allora, sono tutelati dalla legge in quanto minori, e che invece qualcuno dipinge come dei piccoli dropout, emarginati e privi di diritti.

Non si può fare propaganda e cercare di imbarcare voti raccontando stupidaggini su di un tema vitale per la nostra stessa sopravvivenza: e proprio il diluvio di corbellerie prodotto dai recenti successi in terra giapponese mi pare ne sia la testimonianza schiacciante. Perché un conto è volere un’Italia multietnica e altro è innalzare peana al cielo solo quando a vincere è un Italiano di colore. Questo non è antirazzismo: è razzismo uguale e contrario. Non a caso, la maggior parte dei sostenitori dello jus soli è composta da gente che, se potesse cancellare l’Italia dalle carte geografiche, lo farebbe volentieri: gente sempre pronta a denigrare il proprio Paese e a descriverlo come la sentina d’ogni male.

Eppure, lo jus soli, nonostante la sua becera tifoseria nostrana, è un buon criterio per concedere la cittadinanza: a condizione, però, che ci troviamo in uno Stato con grandi margini di espansione demografica ed economica, come, appunto, gli USA di qualche tempo fa. In un Paese sovrappopolato e in piena stagnazione, imbarcare qualche milionata di cittadini, cui, magari, dover pagare il reddito di cittadinanza, data l’assenza endemica di lavoro, mi pare una clamorosa idiozia.

In questo caso, forse forse, sarebbe meglio mettere da parte le foie ideologiche e usare il cervello. Ma sarebbe chiedere troppo, perché, tra jus culturae, jus soli, jus sanguinis o jus scholae, da noi sta prendendo sempre più piede lo jus dementiae. Cittadini sì, ma stupidi, mi raccomando!

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