CHANEL TOTTI, UNA VITA SEGNATA DAL NOME

Nel nome, si dice, c’è il destino, per cui se i genitori – non due qualunque, ma Francesco Totti e Ilary Blasi – decidono di chiamarti Chanel, l’indirizzo della vita è segnato, e sarà probabilmente Parco della Vittoria, non Vicolo Stretto. L’affinità con il lusso, e l’ostentazione se vogliamo, è stabilita dal certificato di nascita: sarà dunque difficile rinnegarla, accontentarsi del saldi da Ovs e, il sabato sera, ripudiare l’inaugurazione di un locale chic per dedicarsi alla maratona dei film di Yasujiro Ozu.

Chanel Totti ha solo sedici anni, per cui di tempo per scoprire i capolavori di Ozu ne ha ancora parecchio: per ora si “accontenta” di un fidanzato – tale Christian Babalus – e di viaggi in Brasile e gite in yacht ben documentati su Instagram. Ma non si pensi che Chanel sia una marmocchia vanitosa ed egoista: al contrario, è molto generosa. Al punto da regalare al suo Christian un’Audi di super-lusso, “ma solo per 24 ore”, ovvero a noleggio, automobile presa a prestito nello stesso salone che affittò agli youtuber “Borderline” il Suv Lamborghini con cui finirono per uccidere un bimbo di 5 anni.

A questo punto abbiamo tutto ciò che ci occorre per scandalizzarci: una ragazzina viziata ed esibizionista, due genitori che – sorpresa – non le hanno insegnato i valori della vita monastica e, anzi, si sono appena separati mettendo in piazza il peggio della loro relazione (con l’aggiunta di una contesa sui Rolex di lui), e perfino un rimando alla cronaca nera, tanto per gettare un’ombra sinistra su tutta la faccenda. Per cui accomodiamoci: lo spuntino è servito. Possiamo criticare i genitori, la ragazzina, perfino l’autosalone, e infiocchettare il tutto con un commento generale sulla superficialità di questo mondo che, specie se arrivati a una certa età, non comprendiamo più e al quale non pronostichiamo un futuro degno di essere vissuto. Non sbaglieremmo del tutto, ma forse vale la pena concentrarci anche su chi ci ha consegnato tante informazioni circa la nostra Chanel, cercare di capire perché lo ha fatto e in che modo è riuscito a manipolarci.

La “notizia” viene infatti da Dagospia, testata web lanciata più di vent’anni fa da Roberto D’Agostino, il quale non ha inventato nulla, ma ha pensato bene di aggiornare il passato. Con i suoi retroscena politici e la vetrina sul kitsch del bel mondo romano (“Cafonal”), Dagospia ha riesumato lo stile di “Confidential”, storica rivista scandalistica hollywoodiana che promettendo di “raccontare i fatti e fare i nomi”, metteva in piazza i “casi loro” delle star, corredandoli di pesanti allusioni sulle loro preferenze sessuali, l’orientamento politico e tutto quanto poteva far scalpore. Come “Dagospia” ama fare di tanto in tanto, “Confidental” usava una titolazione articolata su giochi di parole, rime e allitterazioni.

Sembra una ricetta facile, non lo è: per confezionare “informazioni” del genere ci vuole mestiere. Nel caso di Chanel Totti, per esempio, Dagospia ci porge una presentazione esemplare, nella quale non trascura di dirci il valore dell’auto (“168mila euro”), la potenza delle sue prestazioni (“raggiunge i 100 all’ora in poco più di 3 secondi”) per collegarla infine a un tristissimo fatto di cronaca. Dagospia annota perfino che Chanel, in seguito a questa iniziativa, “sta ricevendo molte critiche sui social”. Ne esce un consommé informativo che non ci dà modo di pensare: l’invito a passare al giudizio – di condanna – è pressoché istantaneo. E però suggerendo che nella vita di Chanel hanno peso solo le cose che costano tanto e vanno forte (e non importa se queste di tanto in tanto ammazzano bambini), cose per cui si possono esibire numeri che fanno impressione sugli altri, Dagospia sa bene che noi parliamo la stessa lingua, sa che rimarremo colpiti proprio da quei numeri e che difficilmente nella nostra analisi ci spingeremo oltre.

Non occorre scomodare Kant per ricordare il legame indissolubile tra l’oggetto osservato e chi lo osserva: basta constatare che, oggi, qualcuno guida auto potenti, indossa orologi di lusso, frequenta ristoranti a tre stelle e alberghi a cinque, e gli altri, attraverso i social, guardano chi fa tutte queste cose. Per invidia? In cerca di gratificazione per procura?

In Rete impazza da tempo un tale che sa tutto sugli orologi di lusso, si vanta perfino di avere inventato un metodo (“il sistema del sonaglio”) grazie al quale in un secondo è in grado di distinguere, a orecchio, un Rolex vero da uno falso. I suoi video esercitano una curiosa attrattiva, discutibile eppure innegabile. Sembrano essere il distillato della vacuità dei tempi, dove ciò che conta è il Rolex e la differenza – sociale, di censo e perfino di merito – sta nell’autenticità o nella contraffazione dell’orpello. Il commento più saggio sarebbe riconoscere che tutto è “falso”, che non c’è Rolex “vero” al punto da bastare a una vita, ma il gioco continua solo se facciamo finta che è così.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *