57 COLTELLATE ALLA FIDANZATA, LIBERO PER OBESITA’: GIUSTIZIA E’ SFATTA

Poi dicono che il fumo faccia male alla salute. Poi raccontano che l’obesità sia un serio pericolo per la vita. Non per Dimitri Fricano. Per lui sono un toccasana. Una benedizione. Grazie a questi rischi, il tribunale di Torino l’ha liberato dalla cella, dove stava rinchiuso da soli 6 anni, con la prospettiva dell’ergastolo. E dalla sera alla mattina è tornato a vivere a Biella. «I giudici hanno stabilito che debba essere curato», dicono all’edizione torinese di Repubblica i suoi avvocati Alessandra Guarini e Roberto Onida. Il tribunale di sorveglianza ritiene che Fricano non sia compatibile con il regime carcerario. Perché il 35enne è un «grande obeso» e un fumatore. È quindi a rischio di complicanze cardiache.

Così, eccolo di nuovo a casa, agli arresti domiciliari. Certo non è il primo caso di giustizia molto umana, molto misericordiosa, che si preoccupa della dignità e della salute anche del peggiore assassino. Ma in questo caso c’è una famiglia, la famiglia della sua vittima, che proprio non ce la fa a comprendere e a condividere. Rapidissimo riassunto: lei era la fidanzata di Dimitri, si chiamava Erika Preti. Era l’11 giugno 2017, a San Teodoro, in Sardegna. Stavano preparando i panini prima di andare in spiaggia. Lei lo aveva rimproverato perché stava facendo troppe briciole. E lui le aveva inflitto 57 coltellate. Era una delle prime vacanze da fidanzati. L’ultima.

Si torna ai soliti discorsi, per i quali dovremmo sentirci anche un po’ in colpa, anche un po’ pessimi. Diciamo pure troppo intransigenti e giustizialisti. L’ergastolo non restituisce Erika alla sua famiglia, ma almeno riesce a placare parzialmente il dolore e la sete insaziabile di giustizia. Eppure: com’è possibile che un assassino conclamato torni a casa dopo 6 anni?

Le risposte sono note. Raffinatissime. Dimitri ha problemi di salute, vuoi lasciarlo marcire in carcere senza tendergli la mano? E poi via con tutte le argomentazioni del caso: la prima, la più elevata, sempre quella, “una società civile deve dimostrarsi migliore dell’assassino”. Zitti e muti, per non uscirne da forcaioli.

Il problema, anche stavolta, è spiegarlo alla famiglia di Erika. Dopo 6 anni, si ritrovano libero il feroce killer della loro ragazza. Il papà riesce solo a dire la cosa più spontanea ed elementare: “Per noi non è più vita, ogni giorno andiamo a piangere Erika sulla sua tomba. E lui intanto è già tornato a casa. E’ giustizia questa?”.

Bisognerebbe dire ancora una volta, sentendoci tutti più nobili ed evoluti, “nessuno tocchi Caino”. Però prima o poi dovremmo anche prenderci la briga di alzare lo sguardo verso chi è condannato – senza colpa -all’ergastolo dello strazio. Prima o poi bisognerebbe pensare anche ad Abele.

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