CARO CRISTIANO, COMINCIAMO NOI A PARLARNE

di LUCA SERAFINI – E già, caro Cristiano Gatti, il tuo articolo sull’ipocrisia delle medaglie italiane ai Giochi non faceva una piega: gloria di un minuto, per un giorno, magari lunga un mese, poi il nulla. Si dimentica tutto in fretta, a cominciare dalle promesse. Non so cosa accade negli altri Paesi del mondo, cioè chissà se gli olimpionici inglesi o francesi o canadesi – per dire – godano di una luce più estesa e meno effimera, nella loro esistenza, dopo esser saliti su un podio alle Olimpiadi. Tanto per cominciare, ti dirò che non sono molto incoraggianti i libri, i documentari, i film sui reduci americani dal Vietnam, dall’Afghanistan e dalle varie trincee dove ciclicamente gli Stati Uniti vanno a esercitare il loro ruolo di Carabinieri del mondo: tornando a casa, si viene dimenticati presto. Qualche volta del tutto. Non so se hai visto “Era mio figlio”: anche solo per avere una medaglia d’onore, alla memoria, i reduci americani o i loro eredi – come nel caso del film di Todd Robinson – devono combatterne un’altra, di guerra. Una battaglia legale per commemorare un eroe, figurati quanto dura nella memoria un eroe dei Giochi, in mutande e canottiera…

Non so davvero altrove, ma in casa nostra è esattamente come dici tu: una parata di congratulazioni istituzionali, una valanga di meriti che si arrogano dirigenti e federazioni, poi tutto torna come prima nell’anonimato di un lavoro oscuro, sacrifici e sudore di 4 anni per un giorno dove nella maggior parte dei casi vale anche avere fortuna. La fortuna di stare bene e che i tuoi avversari stiano leggermente peggio, insomma che in quel fatidico giorno, all’ora della gara, in quell’attimo preciso vada tutto per il meglio. Un attimo in 4 anni, un attimo dopo 4 anni. Non è facile, hai visto: in questi primi giorni i nostri azzurri hanno già perso in specialità dove siamo eccellenti e vinto in altre discipline che neppure sapevamo esistere. Va così.

Una cosa però voglio ricordartela, a proposito di memoria. Una cosa legata a una persona che ho amato e con la quale ho lavorato 27 anni: Maurizio Mosca. Lui è famoso per la sua follia leggera, per le sue esplosioni di rabbia o esilaranti, per le bombe di mercato e un modo di fare tv spazzatura che è poi beffardamente diventata cultura, ma gli va riconosciuto di essere stato l’unico ad aver fatto spettacolo avendo ospiti atleti di sport minori (persino il biliardo che sport non è). In quel programma del venerdì in prima serata che si era ritagliato su misura, “Casa Mosca” trasmesso per circa 30 anni sull’emittente regionale “Telenova” con una parentesi sulla storica su “Antenna 3”, il suo salotto era sempre pieno di olimpionici. Maurizio diede parole al quel silenzio quadriennale, diede visibilità a volti di passaggio, popolarità e umanità a uomini e donne altrimenti destinati al ciclico, ripetitivo oblio da te amaramente descritto su @ltroPensiero. Così Diana Bianchedi, della quale Maurizio era platonicamente innamorato, Antonio Rossi, Josefa Idem, Yuri Chechi, Maurizia Cacciatori, i fratelli Abbagnale, Alessandra Sensini, Isolde Kostner, la Vezzali e la Trillini, ciclisti e pugili e moltissimi altri ancora meno conosciuti e meno vincenti, frequentavano assiduamente quel salotto strampalato parlando di amore, di sesso, di politica persino, buttando giù dalla torre avversari o colleghi antipatici, levandosi sassolini dalle scarpe ma soprattutto regalando sorrisi e perle di varia umanità che stridevano fortemente con i talk-show sportivi tradizionali.

Conoscendo bene la storia di quei campioni e del loro lavoro tenace, pesante e oscuro in palestra, in piscina, nei campi o lungo i fiumi, in montagna o nei mari, Mosca li riceveva e li trattava alla stregua dei calciatori i quali, le volte in cui si incrociavano in studio con questi faticatori degli sport minori, non riuscivano a celare una sincera, spontanea ammirazione. Sempre. Ed era la gioia più grande per Maurizio.

Ecco, Cristiano, è vero che la classe politica continuerà a dividere e condividere le medaglie ogni 4 anni accompagnandole con promesse di sovvenzioni, strutture, riforme scolastiche per poi puntualmente disattenderle girando i tacchi e seppellendo quegli attimi di gloria, ma è altrettanto vero che esistono altre opportunità per accompagnare la vita dei nostri atleti nel loro percorso. Una la gestiamo noi, lavorando nei media: potremmo cominciare col parlarne più spesso e prima di ogni 4 anni, per esempio. Ti pare?

Un pensiero su “CARO CRISTIANO, COMINCIAMO NOI A PARLARNE

  1. Enzo Venneri dice:

    Caro Serafini, posso esordire così? Ho avuto la fortuna di allenarmi con un campione olimpico e quando insieme andammo negli States 14 anni dopo la sua medaglia, in ogni contesto sportivo in cui ci trovavamo ricordavano la sua vittoria (oro nei 10000 a Los Angeles). Quindi non sempre cadono nell’oblio. Ha ragione, i giornalisti possono molto dando loro spazio. Raffaele Geminiani ha creato un format stile talk show, che porta in un teatro di quartiere di Milano, in cui invita periodicamente sportivi di ogni specialità raccontandone le gesta in modo eccezionale davanti ad almeno 4-500 spettatori ogni volta. Meriterebbe altri spazi.
    Con coraggio e un po’ della follia di Maurizio Mosca si farebbe tanto!
    Un affezionato “follower”

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