BOMBE E MINACCE, TUTTO AMMESSO NEL DEMENZIALE SERRAGLIO DELLO STADIO

Mancano 20’ alla fine di Vicenza-Lecce, penultima giornata del campionato di serie B. I pugliesi segnano il gol dell’1-0 e grazie a questo risultato sarebbero promossi in serie A, mentre i veneti sarebbero condannati alla serie C.

Dal settore dei tifosi giallorossi, alle spalle del portiere vicentino Contini, partono bengala di festeggiamenti per il gol ed esplode una bomba carta: Contini si accascia al suolo stordito e dovrà essere sostituito. Dopo una pausa di un quarto d’ora, la partita riprende e clamorosamente il Vicenza pareggia, sbaglia il rigore del 2-1, ma poi segna allo scadere e vince. Per eventuali promozione e retrocessione è così tutto rimandato agli ultimi 90’.

Nel Paese dove regole e leggi vengono aggirate e infrante con una disinvoltura più frequente della loro stessa promulgazione, le polemiche infuriano in questi giorni, lontanissime dal vero problema: allo stadio “Menti” di Vicenza, sabato 30 aprile, sono stati introdotti bengala e una bomba.

Non è questo il punto, per il nostro mondo a rovescio. Macché. La questione è diventata – da subito – la regolarità del campionato (!), la sceneggiata di Contini (!), perché diversi altri giocatori e steward erano assai più vicini di lui al punto della detonazione, la paternità dell’ordigno (!), perché “siamo sicuri che sia stato fatto esplodere dai leccesi”?

Una triste commedia il cui copione viene palleggiato non con i piedi, ma di mano in mano come nel rugby, tra questore e dirigenti, giornalisti e testimoni (?), medici e raccattapalle, steward e forze dell’ordine.

Nel bailamme di dichiarazioni e comunicati stampa, emergono dettagli e particolari inquietanti, tra i quali il più grottesco e inaccettabile è che nessun controllo ai tornelli (molti dei quali fuori servizio) è stato effettuato.

Nella consueta sinfonia di indignazione e sdegno, accuse e minacce, richieste di pene esemplari e provvedimenti drastici, si insinua lo strumento più stonato: la sentenza del giudice sportivo che condanna il Lecce a una multa di 10.000 euro. Diecimila euro. Che per una società di calcio sono come 10 euro per un comune cittadino.

Buone notizie, quindi, teppisti e scalmanati: potete continuare a strozzare la suocera allo stadio, basta metterle al collo la sciarpa di un’altra squadra. L’ammenda è più o meno 10 euro.

Passano gli anni, in Italia, ma non cambia nulla. Persino dopo mesi e mesi di impianti deserti per la pandemia, quando la folla è tornata ha dimostrato che usi e costumi non sono cambiati: non si possono accendere bengala e far scoppiare bombe carta in piazza Duomo, perché vai al gabbio per qualche ora. In quel perenne porto franco che sono gli stadi di calcio italiani, invece, si può fare. Eccome. Si può ancora fare tutto, tanto nel caso paga Pantalone. Pochi sghei, dopo di che l’incidente è chiuso lasciando aperti solo i veleni tra gli squallidi protagonisti di cui sopra.

Seconda puntata. Dopo la sconfitta di San Siro contro il Milan, Lorenzo Venuti della Fiorentina ha ricevuto – insieme con la fidanzata Augusta Iezzi – una serie di insulti agghiaccianti e bestemmie, auguri di tumori e morti dolorose, su uno sfondo razzista molto evidente. Augusta si è rivolta via social al più violento degli insultatori, ma per tutta risposta – invece delle scuse – ha ricevuto altre offese aberranti.

Le notizie sono due: chi siano questi disgraziati si sa perfettamente (1), ma non gli accadrà niente (2). Assolutamente niente. Qui non c’è nemmeno un Lecce che possa pagare 10.000 euro, se proprio un giudice dovesse avere la mano pesante. Ma quel giudice social ancora non esiste.

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