SANTORO E’ VIVO E LOTTA IN MEZZO A NOI, PURTROPPO

E’ entrato nella storia come il vero inventore del talk-show di piazza e di piazzate, niente da dire, gli va riconosciuto. Ma adesso che la piazza è stanca, adesso che i pochi spazi rimasti sono tutti occupati da colleghi e concorrenti, non è facile fare il Michele Santoro. A una certa età (quasi 72 anni), si tratta di ricominciare da capo e capire cosa fare da grande.

Se non altro, un salvagente gliel’ha lanciato Putin, con l’invasione dell’Ucraina. E allora, in quel preciso momento, tutto è un po’ ricominciato. Michele si è sentito riesplodere dentro l’antica pulsione antiatlantica, antioccidentale, antiamericana (antifascista no, adesso che pure la Meloni esercita la mansione). Come ringiovanire, come nascere una seconda volta. Come riassaporare i vent’anni e il collettivo al liceo.

Poi, gli è bastato lanciare il grido di battaglia: pacifisti e ambientalisti, antieuropeisti e antimilitaristi, complottisti e isti generici, tutti presenti al teatro Ghione di Roma per ritemprarsi e caricarsi con “Pace Proibita”, la nuova idea del rinato e rinnovato Michele. Tra gli ospiti, l’intellettuale Fiorella Mannoia, quel gran genio di Carlo Freccero, gli attori Elio Germano, Sabrina Guzzanti e Ascanio Celestini, e poi Vauro, Marco Tarquinio (direttore dell'”Avvenire”), l’attivista Cecilia Strada.

Putin ha invaso l’Ucraina, sta massacrando gli ucraini, ma per il teatro di Santoro alla fine la vera colpa di un simile orrore, gira e rigira, è sempre lo stesso: l’Occidente. E’ l’Occidente con l’infida Nato a rendere la “Pace Proibita”. E naturalmente chi non lo capisce è un sottosviluppato mentale. Difatti Michele l’ha spiegato per bene: ha dovuto muoversi ancora una volta “per opporsi alla deriva verso il pensiero unico e la resa dell’intelligenza”. Effettivamente, viene naturale chiederci come faremmo noi italiani senza le sue parole di verità. Viene da chiederselo, anche se abbiamo una prima risposta: faremmo come in tutti questi ultimi anni, a Santoro spento, e non è che si stesse poi tanto male.

In ogni caso: grande entusiasmo e altissima autostima, in sala. A nemico individuato, la serata è filata via come uno spasso. Quanto a Putin, nessuna paura. E’ uno spettro agitato dalla Nato per le sue sporche mire, le solite. Ma in realtà basta fargli un fischio e lui da persona mite corre subito al tavolo delle trattative, Non vede l’ora. Ma è l’America che non vuole, con il suo bieco sabotaggio. E già che ci siamo, finiamola di spacciare Zelenski per eroe. Eroe de che? Come cita lo storico Tomaso Montanari, mandando tutti in estasi, “la guerra giusta è quella che non si fa”. E bravo il Montanari, come non averci pensato prima. Se non ci fosse quel cervello di Montanari, come faremmo noi a livello di aforismi decisivi.

Tra una citazione di Papa Francesco e una poesia di Trilussa, il tempo è volato via come piace a Santoro: piacendosi e compiacendosi tra la meglio gente d’Italia, senza una voce di dissenso. Lui, l’unico giornalista veramente libero, a parte quella volta che andò a lavorare per Berlusconi (e comunque in famiglia raccontò che era Berlusconi a lavorare per lui), non ritiene determinante stare a sentire il coro dei sottosviluppati mentali, cioè quelli fuori dal teatro, quelli che ancora si bevono le menzogne della Nato.

Non a caso, il minuto canonico di vittimismo non l’ha dimenticato neanche stavolta, parlando con i giornalisti: ha lamentato di non aver trovato spazio sulla Rai e neppure su La7, finendo per ripiegare su Byoblu, cara a chi cerca sempre “le verità che gli altri non vi dicono”.

Una gran bella serata, niente da dire. Un amarcord, un revival, un ritorno di fiamma. Come ritrovarsi a una Woodstock de noantri, magari faticando un pelo a riconoscersi, magari con la cintura di adipe e i magoni della terza età, però ficcanti e corrosivi come allora. Perchè Santoro e il santorismo sono vivi e lottano in mezzo a noi.

Morale della serata: grazie alla libertà fasulla che l’Occidente ci ha diabolicamente rifilato nel ’45, Santoro può stare ancora qui a dirci dalla sua piazza che l’Occidente fa schifo. Per dirne quattro a Putin dalla piazza Rossa i tempi non sono ancora maturi. Citofonare Navalny.

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