Smettiamola di fare gli sciovinisti e guardiamo in faccia la dura realtà. La ex-Alitalia è riuscita solo ad accumulare perdite in un ventennio, fino alla cifra record di 15 miliardi di euro, e la gestione è stata semplicemente vergognosa, con una passerella costosissima di boiardi di stato che se ne sono andati via a colpi di buonuscite milionarie. L’ultimo scenografico tentativo di difendere la compagnia di bandiera, utilizzando il termine che riecheggia il vessillo da alzare contro il nemico, risale all’epoca del Cavaliere, che ha tentato di attirare un altro cavaliere – bianco per l’occasione – che potesse mettere una toppa alla falla gigantesca dei conti mai sistemati. Macché. Rifiutando la buona offerta di Air France e Klm, il governo si stringeva con fare patriottico intorno al malato e si costituì la cordata capitanata da Roberto Colaninno e da Intesa Sanpaolo.
Nacque il piano Fenice, con la partecipazione di AirOne, piccola compagnia di successo, ma invece di risorgere dalle sue ceneri spinse ancora più in giù Alitalia e, insieme a lei, anche i conti che tutti noi abbiamo in qualche modo sostenuto nel tempo. Chiusa l’era Cimoli con un finale horror rappresentato da una buonuscita autoattribuita di 3 milioni di euro che fece molto scandalo, la girandola frenetica di AD vede Sabelli, Ragnetti, Del Torchio, Cassano, Montezemolo, Ball e, infine, l’era dei tre commissari, vera hospice del vettore.
Prima di arrivare a fine 2020, data di nascita di ITA con definitiva archiviazione del marchio Alitalia dopo 74 anni di storia, si sono susseguiti una ridda di compratori esteri che, dopo aver guardato dentro ai conti, hanno deciso puntualmente di passare la mano. Emblematica la frase pronunciata in una fredda sera di aprile 2008 dal presidente della compagnia di allora Maurizio Prato “per Alitalia ci vuole un esorcista”.
Il faticoso e parziale decollo del neonato soggetto ITA, che sancisce anche il distacco necessario voluto da Bruxelles dalla vecchia compagine, porta piano piano l’avvicinamento di Lufthansa, il colosso tedesco che compie tutti i passi giusti per proporsi come un serio e ben intenzionato compratore-salvatore della compagnia. Finalmente leggiamo in questi giorni di un via libera dall’Europa e assistiamo anche all’ultima (piccola e poco rilevante) negoziazione sul prezzo. Forse ci siamo, con buona pace di chi ancora strepita con voce gracchiante “attenti al lupo”.
Guardiamoci intorno e impariamo dalle acquisizioni eccellenti che hanno portato solidità e prosperità alle aziende italiane. L’esempio su tutti è Ducati. Il grande blasone tricolore è stato rilevato nel 2012 dal gruppo Audi e la storia di successo duraturo, enfatizzata dal totale dominio nella MotoGP dell’azienda di Borgo Panigale, è lì da vedere. I soldi tedeschi e l’ottima gestione manageriale saldamente tenuta dall’italianissimo Claudio Domenicali hanno perfezionato un matrimonio perfetto, che garantisce tra l’altro tanti posti di lavoro e crescita economica. Nessuno si è scandalizzato, nessuno ha gridato “via lo straniero”, nessuno direi che se n’è quasi accorto.
Ecco la storia che ci auguriamo possa ripetersi con la nostra compagnia aerea, non più di bandiera, ma che magari potrà sopravvivere. Ci sono mille differenze, è vero, a partire dalla mancanza di un bravo manager italiano (dovuto solo a demeriti nostri comunque) e qualcuno strillerà subito che non si possono paragonare i due casi. Questo è il tipico atteggiamento italico di quando falliamo: criticare tutto e tutti, trovando scuse dovunque, esibendo il trito e inetto benaltrismo dei perdenti.
Invece, io dico: benvenuta Lufthansa, fai volare ancora nei cieli di tutto il mondo quel buono che resta di noi.