75 coltellate, la maggior parte delle quali a una ragazza già ferita, che grida disperata implorando pietà: no, non è crudeltà.
Migliaia di messaggi torvi e cupi: no, non è stalking.
Seppellire delle più oscene porcherie, dei più turpi insulti, una donna sui social: no, non è diffamazione.
Diciamolo: in questa settimana abbiamo tutti frequentato un intenso master in cultura giudiziaria. Le lezioni impartite dai giudici del processo Turetta-Cecchettin e dal Pm del caso Seymandi, lezioni al massimo livello, ribaltano molte delle nostre convinzioni popolari e rimettono la giustizia italiana al centro dell’attenzione, sempre tirandosi dietro l’eterno dilemma nostro, ma come mai, dannazione, come mai la gente non ha più fiducia in questa giustizia?
Prova a farti la domanda e a darti una risposta, bisognerebbe dire alla magistratura che vive questo cruccio epocale. Proprio le due decisioni di questa settimana arrivano perfette a chiarire il perchè, peraltro molto semplice: la giustizia sentita, vissuta, covata dal popolo è tutta un’altra cosa rispetto alla giustizia dei tecnici, dei cavilli, dei comma.
Qua fuori, fuori dalle aule dei togati, la giustizia di questa settimana appare come una giustizia malata e pervertita. Né più né meno. Cioè una giustizia avvitata su stessa, chiusa e barricata dentro ai sofismi, ai tecnicismi, alle acrobazie, per cui alla fine quella che esce è magari ineccepibile in linea di principio, in punto di diritto come dicono là dentro, ma sul piano reale e essenziale dell’equità umana risulta sgangherata e demenziale. Normale, inevitabile la reazione delle vittime di queste decisioni: la sorella di Giulia papale papale chiede che cosa si debba intendere crudele, a casa dei giudici, se non sono crudeli 75 coltellate, con l’assassino che infierisce ancora di più dopo la prima. La Seymandi, svergognata in pubblico dal promesso marito per tradimento, chiede cosa sia diffamante e offensivo se non lo è il vomitatoio di violenze irripetibili scritte via social.
Loro e noialtri gente comune ci sentiamo rispondere nel modo più risentito, con la puzza sotto al naso: alla sorella di Giulia gli avvocati rispondono che non si deve permettere, che non ha competenza giuridica, che fa solo del bieco populismo, alla Seymandi invece lo stesso Pm spiega nella richiesta di archiviazione che il web funziona così, e dopo tutto avrebbe fatto meglio a scrivere alziamo le mani, bandiera bianca e arrendiamoci alla barbarie che tutti i giorni peraltro deprechiamo, chiedendo qualche limite e qualche regola.
D’altra parte, non abbiamo letto i Promessi sposi per non capire che questa nostra giustizia moderna somiglia in tutto e per tutto a quella messa in croce da Manzoni, la giustizia astrusa e incomprensibile del Seicento (ma anche la sua dell’Ottocento), volutamente ermetica e criptica, la giustizia perfetta degli Azzeccagarbugli, tante leggi e confuse, lontana dalla realtà e dalla sostanza, materia esclusiva e inarrivabile al popolo, per essere in definitiva più letale.
Diranno i bravi avvocati e i bravi giudici che anche Manzoni era qualunquista e populista. E va bene. Ma almeno la finiscano di frignare chiedendosi afflitti perchè mai questa sfiducia nei confronti della giustizia. Una giustizia per cui non sai più cos’è crudele, neanche il supplizio più disumano inflitto alla cara Giulia.