ALLE CALCAGNA DEL GENIO ERRANTE DI NIETZSCHE

di GIORGIO GANDOLA – “L’uomo che usò la parola Über 150 anni prima che inventassero una app per chiamare i taxi online è nato e sepolto qui”. Comincia così, da Rocken in Sassonia, un viaggio di 4000 chilometri sulle tracce del più dinamitardo pensatore della Storia, il distruttore di mondi Friedrich Nietzsche, un inseguimento all’ultimo respiro (non per niente il libro avrebbe potuto chiamarsi Rocken Roll) attraverso mezza Europa “perché sono sempre i luoghi che decidono la trama, perché ogni accadimento ha una sede ed è questa che conta”.

A scriverlo è Paolo Pagani, giornalista di lungo corso con la passione della filosofia e da sempre amico di @Altropensiero.net. Titolo perfetto: “Nietzsche on the road”. Editore Neri Pozza, lo stesso che due anni fa pubblicò “I luoghi del pensiero”, nel quale Pagani si travestì da Sherlock Holmes per pedinare giganti delle idee come Spinoza, Cartesio, Newton, Wittgenstein, Marx, Heidegger e altri. Lo spirito è quello dell’incipit, quindi contrario all’approccio paludato da biblioteca universitaria; qui il personaggio diventa protagonista di una, dieci, cento storie da sceneggiatura cinematografica. Con aneddoti, retroscena, metafore, sofferenze che l’autore rivela e descrive con il passo del cronista ispirato.

“Nietzsche on the road” è un reportage calato nel nostro tempo, un mescolarsi di passato e presente, un montaggio cucito in blocchi tematici per favorire la lettura ed esaltare la forza drammatica di un pensatore rivoluzionario che inseguiva se stesso scappando dalla follia. Quest’ultima lo avrebbe comunque raggiunto nel 1889 a Torino, a 45 anni, per non abbandonarlo più.

Nel libro c’è il Fritz (così lo chiamavano madre e sorella) degli aforismi incendiari e di testi immortali come Ecce homo, La Gaia Scienza, Al di là del bene e del male, Così parlò Zarathustra. C’è il Fritz tedesco di Naumburg, Bonn, Lipsia, Weimar che sostituisce Dio con Richard Wagner e Arthur Schopenhauer. C’è il Fritz svizzero alla ricerca di un centro di gravità fra Lucerna, Basilea, Zurigo, le estati in Engadina (momento magico la narrazione delle passeggiate ispiratrici in Val di Fex e in Val Roseg accanto al fantasma di Zarathustra) e nella villa vista lago di Tribschen dove i Wagner andavano in villeggiatura. E dove lui fu ospite 23 volte.

Racconta Pagani: ”Sul pianerottolo al primo piano in cima alla scala di legno, ora una consolle con una cuffia e una serie di pulsanti consente di ascoltare qualche brano wagneriano per ricreare l’atmosfera. E a guardare giù in giardino, puntando lo sguardo sull’orizzonte, uno naturalmente s’immagina lo spuntare e la planata improvvisa in controluce degli elicotteri di Apocalypse Now ai comandi del colonnello Kilgore”.

Nietzsche non si ferma, la maledizione della malattia lo insegue ovunque e per lenire i dolori (mal di testa e alle ossa, disfunzioni renali, problemi cronici a stomaco, polmoni, occhi, sistema nervoso, febbri, allergie, un’enciclopedia medica ambulante) attraversa il San Gottardo in slitta con Giuseppe Mazzini, fra due muraglie di neve, attratto dalla luce e dal sole del Sud. Nell’azzurra solitudine di Rapallo, Stresa, Venezia, Costiera amalfitana, Messina, Nizza, Costa Azzurra, trova anni fertili di pensiero, pur tormentato dalla malattia.
Affitta bilocali, si rintana dentro anonime pensioni ma non riesce a sfuggire all’autore. Pagani lo bracca, descrive i suoi luoghi oscuri, apre le lettere all’editore e alla sorella (soprannominata Lama perché gli sputava quando litigavano da bambini). Lo racconta nella vita quotidiana, lo accompagna in trattoria dove Fritz è ghiotto di ossobuchi e broccoli annaffiati dal “buon vino di Valtellina”, anche se ammette che qualche volta gli mette acidità. Lo ascolta mentre dice: “Biancheria allo stremo. Me ne infischio di avere ancora solo due camicie indossabili”.

Il distruttore di mondi e di convenzioni spirituali è a Nizza la notte del terremoto del 1887. Alle prime scosse scende per la strada ma invece di preoccuparsi comincia a passeggiare per i quartieri martoriati dal sisma, con il soprabito sul pigiama. Poi scrive con prosa da bullo: “Viviamo nell’interessantissima attesa di colare a picco. Che divertimento quando le vecchie case sopra le teste sferragliano come macinini da caffè, quando il calamaio si muove da solo”. In un’altra lettera: “A Nizza l’epicentro del sisma non è stato sotto la terra ma nei sistemi nervosi”. Stiamo parlando di un migliaio di morti.

La compassione non è mai stata il suo forte. Scrive Pagani: “Nietzsche non trascura di scagliarsi contro il presunto amore per il prossimo; bisogna guardarsene, perché esprime in realtà un bieco sentimento di superiorità. È il senso di colpa che pretende la compassione, ma bisogna rinunciare al piacere di mantenersi così al di sopra dell’altro. Compatire il prossimo equivale solo a schiacciarlo. Questi i concetti principali, pensieri arditi, crudeli, talvolta imbarazzanti, equivocabili, ambivalenti, inquietanti, scandalosamente anticonformisti nei cinque libri in cui è suddiviso “Aurora”. Sgretolano gli equilibri del mondo umano”.

Il fuggitivo che consiglia all’uomo di costruire case sul Vesuvio perché la precarietà è uno dei pochi valori, si arrende alla follia a Torino. Una mattina esce di casa per acquistare i giornali all’edicola di piazza Carlo Alberto. “Lo slargo è affollato di ronzini che aspettano un cliente. Da lontano scorge un vetturino che malmena una bestia ossuta. Con un urlo attraversa la piazza, si stringe al collo dell’animale come per consolarlo. Poi si accascia. Crolla a terra in lacrime, abbattuto da un colpo apoplettico”.

Siamo ai titoli di coda, gli ultimi dieci anni sono dedicati a un altro viaggio, dentro la sua mente senza rotta e senza meta.

Conclude l’autore: dal nichilismo si può uscire soltanto riconoscendo che la vita “altro non è che volontà di potenza”. Fritz lo afferma nel frammento di Lanzerheide, villaggio svizzero dove soggiornò per pochi giorni. E dove oggi avrebbe un vicino di casa che non ha problemi ad andare dritto per dritto, Roger Federer.

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