AIUTO, E’ VENUTO GIU’ LO STILE JUVE

È nei guai, lo dicono tutti. Intendiamo la Juventus, che da qualche tempo sfila a rate in Procura e riceve a giorni alterni la visita della Guardia di finanza. Più che vittorie, la corazzata del calcio italiano (8,8 milioni di tifosi, 36 scudetti certificati) colleziona avvisi di garanzia; più che punti un classifica mette insieme dossier giudiziari come se fosse in atto un gigantesco corto circuito della Storia.

I maligni parlano di “stile Juve finito nel letame”. Prima di sottoscriverlo dovremmo anche rivedere il concetto di stile, in un’epoca in cui la cucina fusion enfatizza le cavallette fritte, Fedez si pitta di vermiglio le unghie e la moda maschile consiglia gonne di seta su stivali militari da mimetica. Oggi vale tutto, basta avere un social media manager che moltiplica i follower.

Il problema per la Signora del pallone non è lo stile o l’inchiesta singola, ma la sequenza di puntate noir come in una brutta serie Tv: l’esame farlocco di italiano di Luis Suarez a Perugia con le pressioni su un paio di ministeri, l’invenzione e il fallimento della Superlega (in buona compagnia con Milan e Inter per rimanere in Italia), il discredito internazionale conseguente, l’addio di Cristiano Ronaldo sotto il peso dei debiti, la voragine finanziaria ripianata con altri 400 milioni di Exor. E adesso la faccenda delle plusvalenze gonfiate, più il possibile accordo su carta del formaggio con CR7 per restituirgli gli stipendi decurtati dal Covid.

È una slavina himalayana, è una torta di nozze a strati che viene giù dal supporto a imbrattare gli sposi. Lo scenario postatomico lascia lì i tifosi con l’aria esterrefatta, come quei pellegrini che in un colpo solo hanno perso gli amici e la corriera.

A chi credere? In attesa di pesanti conferme o ragionevoli alleggerimenti, a nessuno. Qui può aiutare lo stile, o quel che ne resta. È necessario mantenere la calma e non dare confidenza, tantomeno a giornali e spifferi delle Procure, che di solito vanno in tandem e hanno l’abitudine di smentire il giorno dopo gli scandali del giorno prima. Perché se la Juventus ha il raffreddore, giornalismo e giustizia mostrano sintomi ben più gravi.

Neppure Max Allegri aiuta il popolo bianconero a risollevare il morale: vaga a metà classifica senza gioco e senza eroi, prende sberle a giorni alterni e osserva l’andirivieni societario con una certa apprensione. Mentre gli investigatori fanno la loro parte e la giustizia sportiva aspetta le carte, si profila un’altra complicazione: la presunta stanchezza di John Elkann nel dover continuare a ripianare i debiti del cugino Andrea. C’è chi li vede in tribuna all’Allianz Stadium e ne conferma la sintonia; c’è chi spiffera che il presidentissimo non ne può più dell’Agnelli sportivo e osserva il buco nero con la tentazione di farci precipitare dentro anche il parente.

In Italia il sistema calcio è disastrato, i procuratori-sanguisuga sono trattati da vicerè delle Indie, alcuni proprietari stranieri (compresi gli ologrammi dei cinesi dell’Inter) hanno peggiorato clima e orizzonti. Per questo l’italianissima Juventus sembrava poter rappresentare un caro vecchio punto di riferimento nella tempesta. Errore, per individuare esempi positivi di questi tempi è meglio rivolgersi all’Atalanta di Antonio Percassi.

“Così fa tutti”, si sente ripetere a Torino rispetto alle plusvalenze al chewing gum e alle valutazioni stellari di autentici brocchi. È vero, analoghe inchieste coinvolgono da un decennio mezza Serie A, con risultati praticamente nulli perché il valore di un calciatore non è paragonabile al fixing dell’oro a Wall Street. Ma se circoscriviamo la vicenda bianconera troviamo due punti deboli: il primo è la quotazione del club in Borsa che impone regole meno oniriche almeno per la Consob, il secondo riguarda la quantità della «roba», per dirla alla Verga. Nel 2020 i calciatori Under 23 della Juventus hanno fatto registrare plusvalenze per 39 milioni. mentre le altre 59 società consorelle ne hanno assommati in totale 6. Fare le cose in grande stile non sempre è segno di stile.

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