ADDIO A COLOMBO, IL MEDIANO CORTESE

Troppo gentile, troppo educato, troppo diverso dal resto delle ciurma. Così era Umberto Colombo che ha salutato la comitiva dopo anni ottantotto vissuti tutti su quella nuvola bianca che è stata la sua carriera di calciatore e poi di uomo assolutamente normale.

In verità si era dato alla tivvù, come opinionista sulle emittenti lombarde, milanesi e bergamasche, riuscendo tuttavia a non confondersi nel trogolo di parole e insulti e, per questo proprio, facendo la figura del pirla, di quello che non capiva il giro del fumo, che teneva bassi i toni, che non sbraitava con gli altri per farsi notare più che intendere.

Fu, l’Umberto comasco, un calciatore essenziale, giocava in mezzo al campo, mediano e mezzala, di falcata lunga e di geometria nella visione, fingeva di conoscere l’inglese, masticando un paio di parole in un’epoca in cui al massimo ci si spingeva su yes e tea for two, per cui diventò amico e interprete, pensate un po’, di quel gigante a nome John e cognome Charles, insieme sussurravano e mormoravano, il gallese de Swansea scoppiava in risate da pub, Umberto stringeva le labbra a cul di gallina, era lui il vero principe di Galles.

Giocò 397 partite di football tra Juve e Atalanta, da lui scelta apposta preferendola alla Lazio e alla Sampdoria che gli vennero offerte da Umberto Agnelli, allora presidente del club. Vinse tre scudetti, tre Coppe Italia, la più importante con la Dea e per tre volte vestì l’azzurro Italia.

Nell’estate del Sessantuno prese dimora a Bergamo e qui continuò la sua esistenza garbata. Lo avevano dimenticato in molti e soltanto la morte, come accade con gli uomini normali, lo ha restituito alla cronaca.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *