«Lunedì 5 mattina – scrive Cavorso – mi costituirò parte civile contro la persona che pubblicò su facebook la frase incriminata, per l’affermazione del diritto al rispetto delle persone che pedalano e della loro vita. La violenza verbale che si tramuta in istigazione alla violenza non può più essere tollerata in un paese, il nostro, in cui la prima causa di morte tra i giovani è la strada. Verrò assistito dall’amico e avvocato Carlo Iannelli, con cui ho un legame di sangue per le storie così simili dei nostri figli Giovanni e Tommaso. E la richiesta di risarcimento sarà dei famosi 20 centesimi riferiti a mio figlio Tommaso, perché la denuncia non è legata a una questione economica ma di principio. Infine, se la giustizia farà il proprio corso con la condanna dell’imputato rinviato a giudizio, a pagare ci penseranno tutti coloro che dopo tale sentenza non avranno capito che le parole, se violente, hanno lo stesso valore delle azioni».
Cavorso spiega che eventuali risarcimenti andranno a progetti per la sicurezza dei ciclisti o all’ospedale Meyer di Firenze. Ma si augura ancora di più che «questa vicenda possa fare da esempio per tutti».
Da parte sua il gip ha usato parole pesanti per disporre il rinvio a giudizio: il commento sui social «contiene l’implicita approvazione di un atto illecito e l’ulteriore invito, in progressione, a tenere una condotta maggiormente offensiva (investimento) nei confronti dei ciclisti, con la copertura ideologica di un presunto intento educativo»; inoltre «indica e promuove un’azione che è alla portata di chiunque ed ha sicure e frequenti possibilità di realizzarsi nel traffico quotidiano stimolando a commettere un reato».