Pronti via dunque. Anzi no, stop, non se ne fa niente, le mamme dei bambini che un papà non ce l’hanno lamentano la discriminazione, l’esilio in altri lidi, e la direttrice non si fa pregare: la festa non si farà, la società è cambiata, hanno ragione le mamme degli orfanelli e allora niente bon bon e stelle filanti, tutti in silenzio come se nulla fosse.
Qualche papà che si era tenuto libero per l’occasione si lamenta e dopo tanti preparativi han da dire pure le mamme dei normodotati, quelli che i genitori li hanno entrambi. Tutti i torti francamente non li hanno, anche se non mi pare questo il punto. A dar manforte interviene pure la destra dura e pura, di questo passo ci toglieranno anche il Natale e tutte le feste a comando dicono. E tutti torti non li hanno neppure loro, anche se nemmeno questo mi pare il punto e siamo a due.
Il terzo punto, quello vero direi, è l’utilizzo del paravento del politicamente corretto. Per non urtare le sensibilità, per non voler provare ad affrontare questioni spinose, per mancanza di profondità e larghezza di pensiero in fondo, si preferisce la soluzione più semplice, quella che ti consente di giustificarti e nel contempo ti permette di non prendere di petto le cose.
Un bambino senza papà che beneficio può trarre da una Festa del papà annullata e passata sotto silenzio, ammesso e non concesso che il silenzio sia possibile e ammesso e non concesso che i bambini siano stupidi? Da un lato accarezzare, e sia, dall’altro nascondere tutto sotto il tappeto: il papà che non c’è, i papà altrui e la festa del papà annessa. Facciamo finta che, insomma.
Lo psicologo direbbe meglio di me, però mi sembra evidente che la mancanza del papà è qualcosa con cui fare i conti per tutta la vita e non sarà una censura ad aiutare i bambini a elaborare il tutto. E in tutto questo la scuola in realtà perde l’occasione di escogitare festeggiamenti e attività che coinvolgano e abbraccino, più o meno letteralmente, i piccoli senza babbo.
Abolendo la Festa del papà si abolisce anche la fatica e l’incombenza di immaginare momenti comuni nei quali accogliere l’eventuale tristezza o le domande di chi un papà non ce l’ha. Perché invece non provare a immaginare la Festa del papà di tutti, quelli che ce l’hanno e quelli che non ce l’hanno, o non ce l’hanno più.
La sfida è proprio fare la cosa più difficile, persuadere anche le mamme sole che non sarà la soppressione di una festa a rendere meno faticosa la vita dei propri figli, e potrebbe anzi essere l’occasione per convincerle che, sia pure minuscoli, con quell’assenza possono convivere anche con l’aiuto degli altri.
Dal Natale in giù, chi scrive è allergico alle feste comandate, ma anche questa è cultura della cancellazione, la cultura che pialla tutte le asperità e ha lo stesso effetto di un una fumata di marijuana: buona, buonissima, ti mette di buon umore, vuoi abbracciare il mondo e sbaciucchiare tutti, solo che quando l’effetto svanisce ti rendi conto che devi andare a lavorare e magari metterti sul serio a piallare le asperità: in officina, in falegnameria oppure nel più faticoso dei laboratori, in famiglia.