Ma sarebbe ingiusto considerare il problema della medicina d’urgenza in modo settoriale. Esso è la punta dell’iceberg di una crisi strutturale del sistema sanitario nazionale, un tempo fiore all’occhiello del nostro paese e tra i migliori al mondo, ma che oggi pare in ritardo rispetto alle modifiche epidemiologiche in atto.
Infatti, grazie ai progressi della medicina e delle condizioni di vita, nel nostro paese si vive di più, ma ovviamente aumentano gli anziani. In pratica viviamo di più, ma per più tempo avremo patologie croniche e assumeremo più farmaci. Una ricerca pubblicata su “Lancet” afferma che per i nati in Italia nel 2000 si prevede un’aspettativa di vita, per oltre il 50% di essi, di ben 102 anni.
E’ chiaro, quindi, che servono risposte più complesse. Invece ci si rivolge sempre di più ai Pronto Soccorso, che dovrebbero essere dedicati esclusivamente alle situazioni acute e alle emergenze, in buona sostanza perché altrove non si ha una risposta adeguata, soprattutto nei tempi, ad una richiesta sanitaria legittima.
Vero è che talvolta l’utenza non ricerca nemmeno il canale giusto (e questo è un problema nel problema), ma, per fare un esempio, se un paziente cronico deve sottoporsi ad un esame diagnostico e gli si propone un appuntamento a distanza di mesi, è evidente che è tentato di rivolgersi al Pronto Soccorso per avere una risposta più veloce al proprio bisogno sanitario, in modo certo formalmente improprio, sebbene la richiesta medica sia corretta.
Altro esempio, che mi riguarda più da vicino. Un paziente con attacchi di panico in crisi va in ospedale temendo di avere un infarto. E’ chiaro che se non si prende in carico con l’intervento di uno psichiatra o di uno psicoterapeuta la sua patologia reale, a distanza di qualche settimana tornerà al Pronto Soccorso, temendo nuovamente di non essere in grado di respirare,
E’ ingiusto poi prendersela con i medici di base i quali, a loro volta, sono sommersi di lavoro. In effetti, va ripensata la medicina territoriale nella sua globalità e, come si dovrebbe fare con le “case di comunità”, il medico di medicina territoriale dovrebbe essere affiancato, come avviene in altri paesi, dall’infermiere territoriale che agisce domiciliarmente, e dovrebbe essere molto rafforzato il lavoro in rete con gli altri specialisti.
Tornando ai Pronto Soccorso, quali sono i medici che vi lavorano? Buona parte sono medici che hanno acquisito sul campo le loro competenze, poi vi sono dei neolaureati, ma sono pochi gli specializzati in medicina d’emergenza-urgenza, ovvero gli specialisti più qualificati a lavorare in tale ambito delicato. Tale specializzazione è stata varata in Italia nell’anno accademico 2009/2010, ma sono ancora pochi i posti, e tuttavia, secondo un’analisi condotta dall’Anaao-Assomed, nel recente concorso di specializzazione 2022 non è stato assegnato ben il 50% di posti disponibili per la medicina d’emergenza. E’ chiaro che se non saranno previsti incentivi adeguati sarà sempre più difficile trovare medici disposti a lavorare in questo ambito e crescerà ancora la fuga verso l’estero o verso l’attività privata, vista come più redditizia e meno rischiosa.
Insomma: si tratta di una crisi di sistema e non vi sono soluzioni facili per un problema complesso. Quello che appare certo è che vi sia una scelta di fondo politica da fare: o rafforzare il sistema pubblico, o favorire la sanità privata. Però bisogna decidersi. Il bisogno di salute crescerà sempre di più e non possiamo consentirci né sprechi né inadeguatezze.