La prima sembra fatta apposta per il sergente Hartman: i ragazzi abbandonano la scuola perché sono molli come fichi e, alla prima avversità, calano allegramente le braghe, sostenuti da genitori imbarazzanti e da frequentazioni disdicevoli. Ecco, il peggio l’abbiamo scritto e non ci pensiamo più.
La seconda è che la scuola, spesso, si rivela un ambiente retrivo, estremamente noioso, carico di appendici inutili. Così, uno si domanda: cosa sto qui a fare? Tra una videoconferenza sulle gioie della pipa e un incontro con l’esperienza transgender, l’aspirante ragioniere fa in tempo mille volte a chiedersi se non abbia sbagliato scuola o Paese o sistema solare.
Infine, c’è l’atmosfera scolastica: il mood, per così dire. La scuola è spersonalizzata, triste, protettiva in forma di clausura: i ragazzi ben difficilmente vi crescono armoniosamente, tra banchettini anticovid e macchinette del caffè impallate, tra compagni problematici ed insegnanti isterici.
Non è una vita dura o complicata: è, semplicemente, una vita grama. E, annoiati quando non vessati, i nostri giovani la mollano: a volte cambiano indirizzo e, a volte, purtroppo, la piantano proprio lì.
Bisognerebbe tener desta la loro attenzione e, al contempo, trattarli da uomini e donne, non da pupazzi: evitare di scrivere centinaia di circolari, ma incontrarli, parlare con loro, invogliarli con l’esempio a tener duro, ad andare avanti.
Viceversa, che esempio diamo a questi studenti? Siamo cedevoli all’eccesso con i somari e rigidi all’inverosimile su ridicole fisime regolamentari. Sembra che, con le nostre brutte auto, i nostri brutti vestiti, le nostre brutte facce, noi professori diciamo loro: ecco, vedete? A questo conduce una vita di studio…
E ti credo che abbandonino di corsa la scuola: non imparano nulla, non vedono la luce in fondo al tunnel e, per soprammercato, si annoiano a morte! L’abbandono scolastico non si combatte a colpi di circolari o di incontri con qualche sparuto psicologo: semmai, si combatte restituendo umanità alla vita in comune, tra i banchi. Si combatte con mille piccole cose, dal comportamento nell’intervallo all’elasticità mentale, dalle gite alle attività di gruppo. Non con quelle baggianate del tipo: progetto di educazione civica o attività extracurricolari. Che già il nome mette voglia di scappare.
Ma, non smetterò mai di dirlo: quel che non funziona nella scuola sono le persone. La preparazione e il carattere delle persone, intendo: la loro capacità empatica, che è quella che lega i ragazzi alla scuola e che rimane loro impressa vita natural durante.
Le chiacchiere da esperti, i webinar, i dibattiti non frenano la fuga dalle classi: all you need is love, scuola italiana. E, se va avanti così, altro che open day e simili frodi in commercio: dirigenti e insegnanti dovranno andare casa per casa ad elemosinare iscrizioni. Fino all’abbandono ultimo e definitivo: la chiusura delle scuole, con buona pace di tutti.