Manca pochissimo a Natale e il direttore mi chiede di scrivere.
Ma non di argomento festaiolo, no. Mi invita a commentare una notizia di questi giorni.
Notizia che non citerò nemmeno, perché io, di scrivere, proprio non ho tempo.
Già me lo sento: “Smettila di frignare e mandami l’articolo”.
E, a dire il vero, avrebbe anche ragione, perché è tutta questione di organizzazione: una buona pianificazione di pranzi e cene delle feste permette anche, forse, di uscire dalla cucina, imboccare il corridoio, raggiungere lo studio e, dopo avere acceso il computer, scrivere l’articolo e mandarlo in redazione.
Si vede che io non sono abbastanza organizzata.
Senza frignare, promesso, tenterò comunque una difesa, certa della comprensione femminile e forse, in qualche caso, anche maschile, almeno, in quelle case dove è “lui” a incantare gli ospiti con manicaretti da manuale.
Quanto sia difficile l’organizzazione dei giorni di festa è argomento già trattato lo scorso anno, e non è che le cose, in questo 2022, siano molto cambiate.
Di diverso c’è che sono di nuovo permessi i pranzi con tanti parenti, perché nonostante il contagio da Covid non sia del tutto scongiurato, è vero che la soglia di attenzione si è molto abbassata, e quindi la scusa “no, non vediamoci in tanti perché è rischioso” quest’anno scricchiola non poco.
Quindi tocca adeguarsi e cercare di produrre un pranzo (anche stavolta mi è toccato quello del 26 dicembre, quello difficile perché non si può fare la spesa il giorno prima dato che è Natale ed è tutto chiuso) all’altezza delle aspettative di familiari e invitati.
Visto che da qui a Natale non è nemmeno questione di giorni, ormai si tratta di ore, è impensabile tentare esperimenti di cucina che naufragherebbero miseramente, facendo rimpiangere una lineare pasta al sugo.
Quindi? Che fare?
La strategia di quest’anno si concentra sulla forma: i cibi cucinati saranno sempre gli stessi, ma presentati in modalità e quantità differenti.
Ecco che allora il cotechino (immancabile) sarà un’unica fetta su supporto di disco di polenta, passato un po’ in forno per saldare le due consistenze; le lenticchie d’ordinanza, cucinate con la medesima ricetta da anni (perché poi cambiare, è buonissima), accompagneranno il piatto contenute in una ciotolina di pasta briseé (fatta da me) e, a completamento della pietanza, servirò già composta nei piatti (niente plateaux che passano di mano in mano e non si sa mai dove appoggiarli), una fetta di torta di patate e zucchine (questa è nuova, ma l’ho provata e viene bene).
E di primo? Niente?
Certo che sì: crema di zucca con crostini (che tanto arriviamo tutti, tutti e 16, con un carico già corposo di pranzi e cene sulle spalle e sui fianchi): leggera, gustosa, persino un po’ gourmet.
Frutta e dolci, per fortuna, sono sempre pronti: basta aprire il sacchetto del pandoro, metterci dentro lo zucchero a velo e scuotere, scuotere bene!
Di solito, a questo punto, il caffè ha il sapore della salvezza (perché il pranzo è finito) e l’amaro o il limoncello ancor di più.
Sembrerebbe tutto a posto, ma io lo so che ci sarà l’imprevisto: la defezione dell’ultimo minuto, la teglia inattesa della zia che scombinerà l’equilibrio del mio menù, la richiesta alternativa del parente vegano…
No, impossibile prevedere tutte le variabili.
Una cosa però è certa, il 27 sarà tutto finito e poi, giuro, riprenderò a scrivere come direttore comanda.
Da qui ad allora, Buon Natale.