VIVA ZAKI LIBERO, MA C’E’ SEMPRE UN MA

Nei suoi scritti degli anni Venti, Piero Gobetti dedica una bellissima pagina ai socialisti italiani. La pagina è bellissima non tanto perché parla dei socialisti, quanto perché Gobetti definisce la distanza tra sé e loro, stabilendo dunque i paletti morali che, nel definire il suo pensiero politico, per contrasto definiscono anche quello, appunto, dei socialisti.

In sostanza, Gobetti dice che l’insorgere del fascismo – la Marcia su Roma è del 1922 – ha in apparenza annullato le differenze tra lui e i socialisti e che, anzi, il confronto con la dittatura fa apparire i loro programmi perfettamente sovrapponibili. Eppure Gobetti stabilisce tra le due posizioni una differenza fondamentale. Loro, i socialisti, davanti al bivio ultimo e definitivo del credo politico e morale, sceglieranno sempre l’uguaglianza; lui sceglierà sempre la libertà. “Il problema del movimento operaio”, arriva a scrivere, “è un problema di libertà e non di uguaglianza sociale.”

L’importante distinzione, la lezione morale di Gobetti – pensatore unico e per certi versi anomalo – andrebbe sempre tenuta presente quando, in politica come in tutte le attività sociali, l’indignazione, la paura e magari anche un poco di quell’inevitabile qualunquismo che alberga in tutti noi, ci spingono a testa bassa sulla strada dell’uguaglianza, vista come un’eliminazione dei privilegi, radicale al punto da estirpare le radici del merito, e ci allontanano dalla quella della libertà. Quest’ultimo è un concetto sfuggente: tanto più ci si avvicina a darne una definizione generale tanto più questa risulta evanescente, ingombrante, inutile e certamente inapplicabile. E invece trattasi di materiale concretissimo, essenziale: come e più degli atomi di ossigeno.

Per referenze, chiedere a Patrick Zaki, attivista e ricercatore egiziano, laureato all’università di Bologna e protagonista, dal 2020, di un’odissea giudiziaria e carceraria che lo ha visto accusato, tra l’altro, di sovversione, diffusione di notizie false e minaccia alla sicurezza nazionale, per aver appoggiato nel 2018 la campagna elettorale di Khaled Ali alle elezioni presidenziali poi vinte da Abdel Fatah al-Sisi.

La sua lunga disavventura, sviluppatasi prima in un periodo di carcerazione preventiva poi, dal dicembre 2021, a piede libero in attesa di giudizio, è giunta al culmine negli ultimi due giorni in un succedersi rapido di colpi di scena. Dapprima la condanna, da parte del tribunale di Mansura, a tre anni di reclusione, poi, nel giro di 24 ore, l’annuncio della grazia presidenziale concessa da al-Sisi.

Felicissimi, noi come il mondo, che la vicenda si concluda con un giovane uomo che riabbraccia la libertà; preoccupati, noi come dovrebbe essere tutto il mondo, dall’arbitrarietà con cui in Egitto, così come in tanti altri Paesi, si privino con disinvoltura le persone della libertà (e spesso anche della vita), salvo poi, all’occasione, restituirla con un gesto che si vorrebbe magnanimo e che invece è solo ostentazione di potere e arma di opportunismo politico.

Tutto questo ci fa capire – dovrebbe farci capire – quanto ancora incerte siano le fondamenta dei diritti umani, che partono sempre dalla cura e dal rispetto dell’individuo, anche dell’individuo molto diverso da noi. Più facile, e all’apparenza gratificante, unirsi alle correnti di massa, alle proteste generali, alle rivendicazioni su base etnica, religiosa, di nazionalità, banda, quartiere e condominio. In qualche modo, stare dentro al branco. Ma nel polverone alzato dai tumulti si preparano quelli che potranno decidere della libertà dei singoli come fosse una merce di scambio, denaro per il riscatto o, peggio ancora, come fosse niente del tutto.

Un pensiero su “VIVA ZAKI LIBERO, MA C’E’ SEMPRE UN MA

  1. Cristina Dongiovanni dice:

    Grazie Schiani! Ma, quale dovrebbe essere la porta aperta ad una via d’uscita diversa, più consolidata, condivisa, sicura? Quella della politica, non ne vedo altre se non l’utopistico pensiero della comprensione universale delle diversità che al momento penso di dover lasciare in stand-by per almeno qualche altro centinaio d’anni, se mai si affaccerà alla storia di noi poveri illusi. Per questo ci affanniamo con le metodologie di massa, che fanno eco, che cercano di scuotere. Certo se non riusciamo a fare politica a fare casino ci riusciamo ancora abbastanza. Forse abbiamo ancora bisogno di qualcosa, ancora una volta, che ci scuota dal profondo per capire che mentre noi difendiamo il fronte sulle retrovie si innalzano troni di pietre lisce sui cui sarà difficile arrampicarsi.

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