UN DISPERATO BISOGNO DI LEGGEREZZA

di MICAELA UCCHIELLI (psicologa e psicoterapeuta) – Essere vivi nel corpo è sufficiente? Non per gli esseri umani, i quali non sono solo un corpo biologico, ma un corpo abitato dal desiderio e della pulsione. Desiderio e pulsione domandano, il primo, la presenza dell’altro, la seconda, la soddisfazione.

Tempi duri perché dall’altro dobbiamo stare a distanza e di soddisfazioni… non se ne parla. Pare infatti che non siano necessarie!

Se il desiderio è apertura, fioritura, brezza leggera, vita in divenire, slancio creativo, incontro (per Recalcati esso è sempre adolescente e, al di là della sua anagrafe, è un vento di primavera), constatiamo invece totale assenza di vento, nessuna primavera, e un’adolescenza, attualmente, in gran parte negata.

Questo virus impone infatti la chiusura. Delle scuole, delle palestre, delle piscine, dei bar dopo le diciotto, dei ristoranti la sera, dei teatri, dei cinema, dei musei. Chiusura delle attività non necessarie.

Verrebbe da interrogarsi, almeno un po’, sul senso del necessario. Su quel che lo è. E su ciò che non lo è. Chi ne stabilisce il criterio, senza che esso sia del tutto, inevitabilmente, arbitrario?

Ciò che parrebbe essere non necessario è il godimento. Anche Lacan lo diceva, il godimento è ciò che non serve a niente. Solo a soddisfarsi.

Leggerezza insensata, il godimento. Svago colpevole. Anche la cultura è rientrata nel non necessario. Si impone un sacrificio, una rinuncia. Si impone la sopravvivenza del corpo.

Siamo tutti d’accordo sul fatto che il rispetto delle regole sia fondamentale e che ci salvi la vita.

E tuttavia, a fronte della quotidiana conta dei morti e dei contagi, c’è una necessità vitale di una certa leggerezza, che non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, senza macigni sul cuore, come Calvino insegna. Un planare con la mascherina, con responsabilità e a distanza: ma con leggerezza. C’è un’insistenza della vita che non ci sta a lasciarsi mortificare troppo.

Questo dannato virus ci costringe a felicità provvisorie, rendendo complessa ogni progettualità e trasformandola in un vivere alla giornata. Giornata in cui siamo travolti da numeri, previsioni catastrofiche, macigni quotidiani sul cuore. D’accordo, possiamo aspettare e rinunciare momentaneamente al divertimento e allo svago. Agli abbracci dei nostri affetti più fragili. Alla forma fisica. A un film in platea. Possiamo togliere molto, ma non tutto. Non la speranza. Non il conforto delle parole.

Le parole sono importanti e, loro sì, necessarie. E per questo occorre attenzione perchè esse possono accarezzare o tagliare. E non possono ridursi a bollettini di guerra o DPCM, sterilizzati di ogni umana partecipazione. Dove sono finite le parole buone?

Quello che non è necessario è un terrorismo mediatico più tossico del virus. E molto più aggressivo. Che ci fa sentire dei condannati a morte. Lo siamo, tutti, in ogni caso.Immagino allora una realtà più sopportabile, dove si cominci a parlare anche dei vivi. Di quelli che guariscono. Immagino che le notizie si colorino di speranza, insieme alle regioni, perchè immagino, anzi credo, che è solo da vivi che si giochi la partita. E che, da vivi, la si vinca.

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