Un iraniano a Parigi. Anzi due, anzi tre. Il TG1 mostra le immagini di quei due ragazzi iraniani a Parigi e sullo sfondo il padre, tutti e tre dal 2012 esiliati in Francia.
Il padre è il reporter e attivista Taghi Rahmani, incarcerato mille e una volta, marito di Narges Mohammadi, premio Nobel per la pace 2023. I ragazzi sono i figli loro, maschio e femmina, gemelli diciassettenni rassegnati. Orgogliosi e rassegnati, perché sanno che la madre potrebbero non rivederla mai più, sanno anzi che è molto probabile.
Nonostante la contingenza, nonostante la prospettiva, si può dire che questi due fieri ragazzi stiano crescendo senza madre? Non si può dire. Stanno crescendo senza gli insegnamenti e gli sguardi ora benevoli, ora arcigni, ora ammiccanti della madre? Non si può dire.
Si può dire, si può provare a immaginare che lì da qualche parte ci sia un vuoto tragico e incolmabile, ma le parole, l’orgoglio e la fierezza di questi due ragazzi dicono che la madre è lì accanto a loro, costantemente. Sostenuti da un padre integerrimo, sanno che il destino potrebbe essere segnato, eppure sostengono ogni batter di ciglia della madre. Anche questa è educazione, educazione iraniana, se si può dire, che è cosa ben diversa da educazione talebana o educazione integralista.
Colpisce, colpisce me almeno, la consapevolezza, che con tutta evidenza deriva dalle parole, dalle azioni, dai valori che il papà e la mamma hanno loro donato. Colpisce, a dimostrazione che i figli qualcosa possono prendere dal padre e dalla madre, nella speranza che non servano a tutti i costi un Nobel, un carcere e diritti umani calpestati quotidianamente.
Nel mentre, tutto il mondo si barcamena tra morte e superficialità. Nel mentre, tutti mostrano i vessilli delle religioni di appartenenza, oppure i vessilli dell’orgoglio nazionale o semplicemente i vessilli del proprio tirare a campare, i vessilli del proprio sopravvivere, se possibile con un pizzico di dignità, ma più frequentemente senza.
Nel mentre, pare che tutti sappiamo esattamente cosa ci sia dietro l’angolo, che sia il mese prossimo o l’aldilà, visto l’affanno che mettiamo nel difendere fedi, confini, cortili e monopattini.
Ma anche se tutti siamo impegnati in questa folle e forsennata danza del mentre, mi piace e mi conforta pensare a quei due ragazzi che crescono saldi e fieri, anche se so che d’ora innanzi toccherà a loro dimostrarsi degni e diffondere il virus, sia pure quello buono e meno contagioso.
Oltre, da pessimista ormai cronico, non posso andare, ma il dubbio è sempre bene coltivarlo. Sempre.