TERRIBILE LA MORTE DI RYAN, MA ANCHE PEGGIO IL SILENZIO SUI SUOI 5 GIORNI DI AGONIA

Rayan non ce l’ha fatta. Punto.

È fuori dal cunicolo, ancora nemmeno so se già morto o rantolante, ma ora non respira più. Il destino gli ha riservato la medesima sorte del nostro Alfredino, una terribile copia carbone.

Nel pomeriggio, intermittenti giungevano notizie, anche discordanti. Con me, qualche amico si è commosso e nel corso delle ore ha scandagliato comunicati da tutto il mondo, fino ad incollarsi alla tv marocchina “2m”, dopo aver compreso che era l’unico modo per avere notizie certe, semplicemente scrutando quella cavità dalla quale aspettavamo l’emersione. Esattamente come accadde quaranta e rotti anni fa per Alfredo Rampi.

Fino all’ambulanza, fino al viaggio verso qualche ospedale, al viaggio che abbiamo poi scoperto essere senza speranza.

E forse dovrei anche smetterla di evocare la similitudine con Vermicino, anche se inevitabile. Dovrei ricordare Rayan, chi era, ma non so nulla di lui e nulla so dei suoi genitori, nemmeno so se aveva fratelli o sorelle, cosa gli piaceva, con chi giocava, quale era il suo piatto preferito. Poco importa ormai.

Poco importa anche l’invettiva contro l’informazione che predilige i tatuaggi del calciatore viziato o del cantante sul palco di Sanremo, l’informazione che ha bisogno del richiamo di grido per rendere una notizia degna dei titoli di testa.

Forse è crudele, forse è quel che è, ma se fosse stato il figlio di Brad Pitt o di Cristiano Ronaldo a finire in un pozzo? Niente, poco importa, che sia vita o che sia morte, la notizia non ama l’anonimato, una vita non vale l’altra, mai. Ci sono vite di serie A e poi tutte le altre.

Sentiremo che la sorte di Rayan ha tenuto con il fiato sospeso tutto il mondo, ma non è vero. Ha tenuto con il fiato sospeso la gente comune, molto più sospeso per l’informazione scarna e sporadica, quando non assente, perché tutta presa da Amadeus e dai campionati di calcio.

È inutile negare e mentirci, le notizie, le stragi, le morti, le disgrazie, ma anche i lieti eventi, nell’informazione abitano posti privilegiati in relazione ai paralleli e ai meridiani, alle persone e ai personaggi, e questo nonostante la pretesa globalizzazione.

Stiamo sicuri, le scarpe griffate dei marchi più alla moda arriveranno senza intoppi a Tamarot, dove è morto Rayan, ma la morte di un bambino a Tamarot deve fare a spallate con palcoscenici e prati verdi per arrivare a noi.

Ma la chiudo qui, sono ingiusto a rubare spazio all’unica cosa che conta in queste ore, perché è tutto irrilevante di fronte al dolore della famiglia di Rayan. Una migliore informazione non lo avrebbe salvato dalla maledizione del pozzo, come non salvò Afredo a Vermicino e, in tempi più recenti, Stefano a Gorizia e Julen a Totala’n.

Non conta nulla e non serve a nulla, ma fa così male questa notizia, fa così male provare a immedesimarsi nella testa di quel bambino e nei cuori di quei genitori, per cinque giorni infiniti. Anche se abitano la periferia del mondo che conta, anche se parlano una lingua incomprensibile, anche se invocano Dio chiamandolo Allah.

 

 

 

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