SPERANDO CHE PUTIN IL PUPO SE LO TENGA

Onestamente, pensavo che nulla superasse in grottesco il Festival di Sanremo, coi suoi cantanti dediti all’abbaio, i suoi lustrini e il suo pubblico di mummie egizie: viceversa, grazie al nostro pirotecnico direttore, scopro che non solo esiste di peggio, ma che quel che da noi, musicalmente parlando, viene per solito adibito alla discarica, lì viene, invece, rubricato come “special guest” e presentato come uno straordinario interprete. Mi riferisco all’inverosimile “Road to Yalta”, kermesse russa in cui (non ridete, vi prego) “…le canzoni sovietiche sulla guerra verranno eseguite in diverse lingue del mondo in duetto con le star del palcoscenico russo”.

Ora, che i russi, in linea generale, stiano alla musica moderna come io sto al collaudo di supposte, credo che sia di pubblico dominio, tuttavia non mi sarei mai aspettato che eleggessero a superstar internazionale nientemeno che Enzo Ghinazzi, in arte Pupo, chiamato a far parte della giuria della prestigiosa manifestazione. Che il nostro cantante lì venga considerato un divo è cosa nota: non è il primo, d’altronde, ad essere ascoltato, qui da noi, al massimo da qualche pensionato che ha finito le medicine e a venir applaudito da grandi pubblici in paesi non precisamente evoluti dal punto di vista musicale.

Nemo propheta in patria, d’altronde: può essere che musicisti poco considerati in Italia trovino gloria e palanche in Bolivia, piuttosto che in Burkina Faso. Ma il caso del Ghinazzi è un po’ diverso: egli ama ed è riamato, nella terra degli zar. Ci va di gusto, a cantare le sue immortali ballate e, anzi, una volta si è perfino cimentato in un’ardita esecuzione a due voci, sulle note di “Bella ciao”. Insomma, in Russia Pupo è di casa.

Data, però, l’attuale situazione politica internazionale, questo entusiasmo canterino in salsa neosoviet ha destato, diciamo così, qualche mugugno. A ciò si aggiunga che, quest’anno, per i suddetti motivi, il festival non si terrà, come di tradizione, a Yalta, sibbene proprio in casa di Putin, nel palazzo del Cremlino. Dunque, l’entusiastica adesione del Nostro non è stata interpretata, come si dovrebbe, sul piano della sacrosanta regola: io le palanche le busco dove le trovo. Bensì come un’adesione del cantante alle linee politiche di quel birichino spianacittà di Putin. Non bastava l’ambiguità di un capolavoro come “Gelato al cioccolato”: adesso il Ghinazzi passa dalle allusioni LGBT alle dichiarazioni filotardopostsovietiche. Di qui le polemiche sulla scelta di andare ad ascoltarsi le cantatone patriottiche su Stalingrado, per giudicare quale sia la più patriotticamente bella.

Io sto con Pupo: ve lo confesso serenamente. Intanto, se a casa tua non ti si fila nessuno e campi di canzonette, fai benissimo a trasvolare dove ti apprezzino, fosse pure la Nigeria. In secondo luogo, un passaggio al Cremlino non si nega a nessuno: per decenni, compiti e seri dirigenti del PCI hanno effettuato disciplinati pellegrinaggi moscoviti, spesso tornando con valigie di rubli per raddrizzare le sorti del proletariato indigeno. A ciò si aggiunga l’autoflagellazione che il Ghinazzi è disposto ad infliggersi, costringendosi all’ascolto coatto di alcune tra le più indigeribili porcherie mai prodotte da essere umano. Infine, ohibò, sarà ben libero di andare dove gli pare a fare ciò che gli pare, questo povero Ghinazzi? Finita l’era beata dei gelati al cioccolato, può essere che quella per i pallidi ghiaccioli russi gli stia dando, nell’età in cui, normalmente, si osserva il progresso dei cantieri, un autentico frisson.

La cosa, pertanto, mi va benissimo. Senza contare che possiamo sempre sperare che Pupo, data la presumibile accoglienza trionfale che gli riserverà il pubblico moscovita, decida di trasferirsi definitivamente in Moscovia. Il che varrebbe perlomeno un “Te Deum” in cattedrale.

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