STRUMENTO DI ATTIVAZIONE, ASSEGNO DI INCLUSIONE: IN CHE SENSO?

Dal 1 gennaio 2024 il reddito di cittadinanza non esisterà più, amen. Ognuno di noi ha il proprio pensiero in merito, chi lo reputa un atto di civiltà, chi lo reputa una comoda scappatoia per i fannulloni e chi ha una posizione che sta in mezzo, più di qua o più di là.

Io credo, semplicemente, che non possa esistere in nessun Paese civile che una persona in condizione di lavorare intaschi soldi, in attesa passiva e speranzosa di un’occupazione. Il reddito ha senso solo se allo stesso tempo esiste un’azione di ricerca costante e solo se nel frattempo ci si alza comunque di buon’ora al mattino e ci si dà da fare per il bene comune, obbligatoriamente. Le cause per le quali darsi da fare stanno accatastate in fondo a un pozzo che in realtà fondo non ha, quindi, nel caso, sveglia carica e pedalare, fa bene al fisico, fa bene alla mente, fa bene alla coscienza. E fa bene pure agli altri, cosa volere di più.

Ad ogni modo il reddito non ci sarà più, sarà sostituito da altro, con altri nomi, con altre parole, con altri significati e a volte, in realtà quasi sempre, concentrarsi sulle parole, sui nomi che attribuiamo alle cose, aiuta a riflettere e, se non a darsi risposte, almeno a porsi delle domande.

Di fatto, per chi ha l’età, la capacità, la voglia, sebbene sempre tutta da verificare, il reddito viene sostituito da un sontuoso acronimo, che mai può mancare in queste occasioni, lo Sda, Strumento di attivazione: sarebbe a dire che lo Stato ti aiuta solo nel caso tu partecipi a qualche formazione oppure a “progetti utili alla collettività”, per un periodo massimo di dodici mesi, una sorta di indennità. Con denominazione diversa, l’omologo del reddito di cittadinanza rimane solo per famiglie con disabili, sotto i 18 anni o sopra i sessanta. Si chiamerà “Assegno di inclusione” e chi può dire, allora come ora, quanto siano state pesate le parole che definiscono questi sostegni?

Reddito, cittadinanza, assegno, inclusione. Parole importanti, forti, ma allo stesso tempo parole opportune? Un reddito non definisce la cittadinanza, come un assegno non definisce l’inclusione, termine vischioso quest’ultimo, che ci sembra impossibile tralasciare di questi tempi: fa stare bene, fa sentire migliori, anche solo usarlo mette al riparo da qualsiasi critica. Pazienza poi se “l’inserimento stabile e funzionale” che la definizione prevede non si riesca quasi mai a ottenere e pazienza se i timonieri del Paese pensano che un assegno, sia pur utile e sacrosanto, possa definire una cittadinanza dignitosa e una inclusione reale.

Quello che sempre fa davvero la differenza non sono l’assegno o il reddito, là dove si parla di cittadinanza e inclusione, quello che fa davvero la differenza è offrire la possibilità di fare e di partecipare alla vita del Paese, per il disoccupato come per il disabile che non può lavorare o, a volte, si ritiene non possa lavorare.

L’assegno a poco serve se non aiuta la persona a stare con gli altri, a fare cose con gli altri e per gli altri, in questo senso le parole ancora una volta falliscono e le menti alla guida del nostro Paese ancora una volta mancano il bersaglio, e lo sanno bene proprio le famiglie che questo assegno vuole aiutare. Le spese sono molte, l’assistenza è costosa e necessaria, ma quel che più di tutto fa soffrire e smentisce cittadinanza e inclusione è la negazione della vita sociale non ghettizzata, che non sia esclusivamente la cerchia dei deboli.

Una comunità che ha bisogno di un assegno di inclusione è una comunità che parte sconfitta e deve esserne consapevole: significa che per tacito statuto finora ci sono state persone escluse.

Vedremo mai un bel piano di partecipazione a fianco del pur sospirato assegno? Vale in realtà per il disabile, per il disoccupato e vale persino per il ricco sfondato.

Sono solo parole, indubbiamente, quelle che i nostri governanti hanno scelto: per i fatti bisognerebbe avere al timone anche le menti migliori, le menti che aiutino a legare il dire col fare, ma al timone non ci sono e, come al solito, toccherà ai rematori, a tutti noi, darsi da fare per mostrare che non tutto è perduto. Non ancora almeno.

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