SOLO UNA LEGGE FORTE PUO’ FERMARE LA LEGGE DEL LINCIAGGIO

La scena ripropone immagini arcaiche: un colpevole al centro e, attorno a lui, un gruppo – spesso in cerchio – di accusatori che lo picchiano o, talvolta, lo ammazzano. Stavolta il fatto è avvenuto a Roma, nel quartiere del Quarticciolo. L’aggredito, Arshdeep Singh, è clandestino di origini indiane, ha 36 anni. L’aggressione è scattata come punizione perché l’indiano aveva, prima, scippato una pensionata di 90 anni, facendola cadere a terra.

Dunque, due violenze: quella dell’indiano verso la signora e quella del gruppo verso l’indiano. Due violenze diverse che, però, hanno in comune, la sproporzione: sproporzionata la violenza di un 36enne contro una 90enne, sproporzionata la violenza di un gruppo contro uno solo. Delle due violenze, però, quella largamente più preoccupante è la violenza del gruppo contro lo scippatore. Anche perché lo scippatore di origine indiana ha detto che intende denunciare i picchiatori e sa benissimo che se denuncia la violenza subita verrà denunciato a sua volta per la violenza fatta.

La gravità della violenza del branco viene dal fatto che essa mette in evidenza il carattere più inquietante della violenza: il suo carattere imitativo. Chi fa violenza non colpisce soltanto qualcuno ma invita di fatto altri a colpire a loro volta. Ce lo ricordiamo il fatto evangelico della “donna sorpresa in flagrante adulterio”. È narrato nel capitolo 8 del vangelo di Giovanni. Scribi e farisei hanno sorpreso la donna e la sbattono davanti a Gesù: deve essere lapidata perché così stabilisce la legge. Gesù non risponde e si mette a scrivere per terra. Gli accusatori lo sollecitano. Gesù allora pronuncia la frase famosa: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. L’importanza della prima pietra sta proprio nel fatto che è la prima. Una volta scagliata quella, altre, necessariamente, seguiranno. Per questo la violenza di gruppo è la più micidiale, perché tutti imitano tutti e si accaniscono contro l’unica vittima designata. È quello che è successo al Quarticciolo.

Naturalmente, il carattere imitativo della violenza dice anche che chi colpisce non ha molti motivi per farlo o, perlomeno, non ha i motivi per colpire con la virulenza con cui colpisce. Il motivo più importante è che colpisce soltanto perché ha visto altri colpire. In altre parole, chi colpisce è fragile perché non sa decidere e codardo perché si fa forte della forza del branco. Non a caso i colpevoli del pestaggio del Quarticciolo, dopo l’aggressione, se la sono squagliata e le forze dell’ordine li stanno cercando.

Interessante: le forze dell’ordine si presentano come la soluzione alternativa. Infatti, in attesa che maturi una cultura diversa – ma i tipi come i linciatori del Quarticciolo non matureranno mai e si sentiranno sempre autorizzati a lanciare le loro pietre – in attesa, bisogna reprimere. Ci vuole una forza più forte di quella del branco. Ma, attenzione: una forza “terza”, quella delle forze dell’ordine, appunto, della polizia e poi, dopo, della legge.

Altrimenti succede quello che spesso succede: per rispondere a un linciaggio si organizza un secondo linciaggio per rispondere al primo, poi un terzo per rispondere al secondo e così indefinitamente. La violenza, appunto, è violentemente imitativa e non si ferma mai. Non è un caso quello che riferiscono i giornali: l’aggressore indiano “si trova ora fuori Roma per ordine del giudice ma anche per sfuggire a vendette”. Chiaro: i linciatori sono troppo deboli per reprimere il loro desiderio di violenza. La soluzione più semplice, infatti, per evitare che la belva inferocita continui a sbranare è sottrarle la preda.

Un’ultima domanda: se l’aggressore, invece di essere indiano, fosse stato un romano di borgata, avrebbe subito lo stesso trattamento? Ho fondati motivi per credere che no. Il che aprirebbe altre, preoccupanti considerazioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *