SERVIREBBE UN’ETICA ANCHE NEL LICENZIAMENTO

di DON ALBERTO CARRARA – “Buonasera, a seguito della riduzione delle attività, da lunedì 2 agosto lei sarà dispensato dall’attività lavorativa. Il trattamento economico verrà garantito con gli strumenti previsti dalla Legge. Cordiali saluti”.

È questa la frase choc arrivata via WhatsApp, dopo le 22 di sabato 31 luglio, come una doccia fredda a quasi 100 lavoratori di “Logista Italia”, dipendenti nel magazzino e negli uffici della multinazionale monopolista nella distribuzione del tabacco, o addetti alle pulizie e alla vigilanza. La multinazionale ha, infatti, deciso di chiudere il sito di Bentivoglio per delocalizzare le attività nelle due sedi già operative di Tortona e Anagni.

Così la notizia, come ci è arrivata, telegrafica, fredda. Non si dice che i disgraziati dipendenti sono licenziati, no. Si dice che sono “dispensati dall’attività lavorativa”. Sottinteso: “Lo sappiamo, il lavoro pesa, ti costa venire tutti i giorni a sfacchinare. Lo sappiamo: siamo molto attenti alle tue fatiche. Stai pure a casa, ti dispensiamo dal lavoro”. Anzi, no, non dal lavoro, ma dalla “attività lavorativa”. “Vedi come siamo buoni che ti dispensiamo dal venire al lavoro, e poi, guarda come siamo delicati: non ti parliamo di un rozzo “lavoro”, ma di “attività lavorativa”: come puoi facilmente valutare, è un’espressione decisamente più fine”.

Sono proprio cambiati i tempi. Non ho mai lavorato in una azienda, non sono mai stato operaio e dipendente. Ma, proprio da incompetente come sono, mi immagino, teoricamente, le possibilità con cui un datore di lavoro lascia a casa dei dipendenti.

Prima ipotesi. Il datore di lavoro prende il coraggio a due mani e chiama a uno a uno i suoi dipendenti e spiega i motivi per cui deve lasciare a casa qualcuno, molti o pochi che siano. Pesante il dover spiegare, pesanti le reazioni dei dipendenti che restano senza lavoro, pesanti le conseguenze: scontri con i sindacati, scioperi, proteste… Ma è il pedaggio da pagare. Il datore di lavoro sa che quelle conseguenze sono da mettere in conto. Il datore di lavoro sa che è suo lavoro anche quello.

Seconda ipotesi. Il datore di lavoro, proprio perché è difficile spiegare di persona, scrive una lettera. Ma nei dovuti modi: una raccomandata nella quale, con i giri di parole del caso, spiega come e qualmente… vedi sopra. Vedi sopra anche per le facilmente prevedibili conseguenze. Non cambia la sostanza. Ma cambia la forma, almeno quella.

Terza ipotesi. Vedi il caso di Bologna. Un messaggio Whatsapp per dire che i cento dipendenti sono “esentati dal lavoro”.

Le tre ipotesi sono anche le tre tappe di un vistoso decadimento. Il datore di lavoro non solo fa perdere il lavoro ai suoi dipendenti, ma perde la faccia lui. Passa dalla fatica del rapporto personale, al formalismo della lettera raccomandata, al messaggio di Whatsapp, sgradevolmente spiccio, per dire in quattro parole una notizia che butta nell’ansia cento famiglie.

Alcuni comportamenti moderni sono la sagra della perdita di stile. Ma “lo stile è l’uomo” diceva il Conte de Buffon. Conclusione inevitabile: dove c’è poco stile c’è anche poco uomo.

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