SE UNA BOCCIATURA E’ TROPPO PER L’ACCOLTELLATORE DELLA PROF

Può capitare, per carità, che dei genitori ritengano, legittimamente, che il loro figliuolo sia stato vittima di un’ingiustizia scolastica: la scuola non è immune da difetti del genere e, pertanto, quello del ricorso è, in un certo senso, uno strumento di garanzia. La cosa, anzi, ha preso decisamente piede, anche grazie a una certa condiscendenza dei vari tribunali amministrativi nei confronti dei ricorrenti, tanto che uno degli incubi paventati dai consigli di classe della penisola è proprio quello del ricorso.

Non ci faranno ricorso? Si domandano angosciati gli insegnanti, in predicato di bocciare un asino patentato che, in altri tempi, sarebbe stato considerato solo un ramo secco da potare. Hai scritto giusto, che magari ci fanno ricorso? Domandano i tremebondi coordinatori ai loro segretari. Insomma, questa faccenda del ricorso è diventata un vero e proprio tormentone scolastico, che, in definitiva, ha aggiunto ulteriori remore alla già difficilissima impresa di bocciare qualche studente.

Però, il caso in cui lo studente medesimo abbia accoltellato una professoressa in classe, ferendola con diversi fendenti, per poi minacciare i compagni con una finta pistola, oggettivamente, come caso di, chiamiamola così, insubordinazione, mi pare un tantino fuori scala. E la bocciatura del potenziale assassino con il suo allontanamento dall’istituto in cui ha cercato di ammazzare l’insegnante mi pare il minimo. Il che è puntualmente accaduto nella scuola di Abbiategrasso che è stata teatro del truce fatto di sangue, non molto tempo fa: le autorità scolastiche, all’unanimità, hanno sancito l’ostracismo del reprobo e, va da sé, la sua bocciatura. E avrei voluto anche vedere che così non fosse. Stiamo parlando di un delinquente che pugnala un’altra persona, mica di uno che scrive sui muri “Forza Inter!” col pennarello.

Invece, in questo mondo impazzito, in cui ogni crimine diventa una bravata, una ragazzata (come nel caso degli sconcertanti giudizi sull’incidente, espressi dai genitori di quegli altri cinque assassini di Roma, che hanno ammazzato un bambino con una Lamborghini a nolo), anziché andare a nascondersi o riflettere sulla propria personale catastrofe educativa, le cose hanno preso una piega incredibile. Perché il babbo e la mamma di quel bel caposcarico che si è messo a fare Rambo con la schiena della sua docente hanno pensato bene di fare ricorso contro la decisione della scuola, ritenuta ingiusta e vessatoria nei confronti del pargolo. Di più: il loro legale è arrivato a dire che il ragazzo aveva un buon rendimento scolastico, per cui proprio non è accettabile che debba pagare con la bocciatura il suo folle accoltellamento. Non fa una piega, come no. Ma, a questo punto, mi verrebbe da dire: io rinuncio! Se i genitori di uno che avrebbe potuto uccidere un’altra persona, e non lo ha fatto solo per caso, non comprendono che una sanzione disciplinare del genere è il minimo sindacale, per un comportamento di questo tipo, io davvero non so più cosa dire.

Certo, questo spiega tutto: la genetica non è un’opinione e neppure l’educazione familiare lo è. Se dei padri e delle madri dicono e fanno certe cose (e Roma e Abbiategrasso mi paiono veramente un esempio desolatamente identico) al cospetto di un crimine commesso dai propri figli, giustificandoli e proteggendoli oltre ogni lecito amore, vuol dire che è di lì che provengono le storture della prole: vuol dire che da un albero storto non ne nascerà mai uno diritto.

Purtroppo non esiste il reato di paternità o maternità criminale. Esiste, in compenso, una consolidata tradizione che coccola i carnefici e dimentica le vittime, che trascura Abele, purchè nessuno tocchi Caino: un mondo, come si diceva, alla rovescia. E, in un mondo così, tutto ci può stare: perfino un ricorso contro la bocciatura scolastica di un individuo del genere. Come si dice: se comandassi io…Ma, purtroppo, non si può dire. Nè, soprattutto, fare.

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