SE ORMAI SERVE LO XANAX ANCHE PER L’INTERROGAZIONE

Pare che molti studenti adolescenti non riescano a sopportare l’ansia che precede un’interrogazione o un compito in classe. Dopo il lockdown in particolare, pare che per molti studenti sia inevitabile prendere gocce, tranquillanti, non di rado benzodiazepine, Xanax, Valium, Tavor, Lexotan e compagnia per intenderci e per citare i più comuni.

Lo testimoniano medici, farmacisti, genitori, psicologi.

Quest’ultima categoria innanzitutto potrebbe aiutare a comprendere cosa sta accadendo. Lo spettatore comune degli eventi, ma spettatore fino a un certo punto, si fa un’idea, un’opinione epidermica, tra le tante possibili, e in prima battuta subentra la noia per questa retorica infinita del post lockdown.

È una noia inevitabile, credo, ma allo stesso tempo bisogna rassegnarsi. Gli specialisti, gli psicologi, i medici rilevano traumi e stress effettivi, causati da isolamento e relazioni a distanza, anche se l’epidermide, sempre lei, suggerisce pure altro.

Gli attacchi di panico, l’ansia, lo stress, la dipendenza a un certo punto, saranno certamente veri, ma chissà se saranno poi tutti figli della pandemia, partoriente prolifica come poche nella storia, fermo restando che resta poi sempre da capire chi l’abbia messa incinta questa pandemia.

Non c’è magagna, ammanco o inadempienza che non possa trovare riparo sotto le gonne di madre Covid ormai.

I reparti di neuropsichiatria accertano che i disturbi che hanno a che fare con l’ansia e le sue sorelle sono in crescita da anni, ben prima del virus in ogni caso, e senza nulla togliere alla reale insorgenza di panico e smarrimento, qualcuno di questi martoriati studenti non pare così afflitto quando è il momento di postare tutto su TikTok, a partire dalle gocce e dalle compresse ingerite. In questo caso la relazione a distanza va benissimo evidentemente.

Si parla persino di collasso e inadeguatezza del sistema scolastico, a me pare comunque riduttiva e insolvente questa analisi. Se dobbiamo trovare dei colpevoli, l’epidermide di nuovo suggerisce che dovremmo indagare aprendo un po’ di più il compasso, rassegnandoci all’idea che si tratta di un concorso di colpa, un concorso dal quale nessuno di noi deve sentirsi escluso.

Dall’esame di maturità a ritroso fino al tempo libero nell’età dell’innocenza, si ha la sensazione di aver eliminato tutti gli ostacoli possibili. Come se affrontare una prova, scalare un pendio, affrontare qualsivoglia esame o verifica significhi perfidia da parte del mondo avverso e quindi sempre e comunque debba aver luogo un’agevolazione, una carezza, una spintarella.

Questo vale anche per le tante, troppe, infinite opportunità che vengono offerte a bambini e adolescenti di oggi per occupare il loro tempo libero. Opportunità straordinarie, e premature mi permetto, che sortiscono l’unico effetto percepibile di castrare le iniziative creative, l’inventiva, e mettere un freno alla fantasia, il crimine per eccellenza. Sortiscono l’effetto di dare a intendere che ci sarà sempre qualcuno che provvederà a spianarti la strada.

Conosco persone, fragili sul serio, per le quali Xanax e Tavor significano sopravvivenza, per loro e per le loro famiglie. Un po’ diverso. Quel che è andato perso è forse il senso della misura, quello che permette di gestire la gioia e lo sconforto come parti essenziali della nostra vita, degne in egual misura di essere vissute, anche in rispetto di chi non ce la fa davvero, magari perché la natura, la biologia, il fato, o cos’altro diavolo sia, sono stati crudeli e impietosi.

Poi diranno gli psicologi: io, epidermico, che ne so?

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