SE “BORIONI” ARRIVA ALL’APICE SUL RED CARPET DI VENEZIA

In questo universo bislacco e apparentemente rovesciato, in cui ci tocca di vivere ed esercitare, pare davvero che si stiano realizzando tutti i paradossi che Orwell postulò nel suo celeberrimo romanzo “1984”: va affermandosi una sensibilità comune che sembrerebbe rispecchiare le atmosfere orwelliane. Il bene e il male, la verità e la bugia, i valori e i disvalori paiono essersi scambiati i ruoli. Per la verità, è un po’ che lo vado pensando: tuttavia, diciamo che la visione di Burioni che si pavoneggia sul Red Carpet lagunare mi ha definitivamente convinto della cosa. E mi ha indotto, per vostra sfortuna, a scriverne.

Mi spiego: fino a qualche tempo fa, la spocchia, la presunzione, l’albagia, se vogliamo nobilitare il concetto, venivano considerate altrettanti difetti. Di una persona in vista, di un principe del foro, di uno scienziato celebre, si diceva: sì, è bravo, peccato che si creda un Padreterno! Insomma, il proclamare di valere più degli altri, al di là dei limiti del buon senso e dell’educazione, era piuttosto una deminutio della propria immagine civile e professionale che una medaglia al merito. E, per converso, veniva guardata con favore e con apprezzamento l’umiltà di chi, pur trovandosi ad occupare delle posizioni di rilievo nei vari campi dello scibile o delle attività liberali, trattava tutti con modestia e semplicità, spiegandosi con parole accessibili e trattando il suo prossimo da pari a pari, senza calare dall’alto ogni propria sentenza.

Ecco, Burioni rappresenta esattamente questa maschera, nella gran recita che è la vita: il “lei non sa chi sono io!”, colui che non fa mistero del proprio disprezzo verso chi non possieda gli strumenti culturali per accedere alle sfere iperuranie della scienza, dalle quali, il Nostro fa discendere il proprio Verbo. Intendiamoci, mai come oggi, specialmente sui social, l’uomo comune si è dimostrato, al contempo, ignorante e arrogante, ma questo non è un buon motivo per metterla giù durissima. Io credo sinceramente che sia assai più utile dare a costoro una lezione di stile e di modestia, piuttosto che fare a gara a chi ha più cartebolle appese in studio.

Provate un po’ a pensare se tutti si comportassero così: io non ti parlo, perché non hai un PhD in filologia classica; non ti spiego come stai, se non hai un Master in diabetologia al Trinity; non discuto con te di politica, se non sei laureato in diritto internazionale a Yale. Un bel mondo davvero! E, di lì, si creerebbero piccole consorterie arciselettive: chi gioca bene a tennis, quelli che riconoscono uno Chablis all’olfatto, i piloti di Formula Uno e così via. Un mondo di Burioni, insomma. Che, poi, nemmeno mi risulta che questo Burioni sia in lista d’attesa per il Nobel: il che rende ulteriormente sgradevole la sua prosopopea.

La cosa che, tuttavia, mi muove l’atrabile non è questa: in fondo, il mondo è pieno di gente che si crede migliore degli altri, con o senza pezze d’appoggio. Ciò che mi ha spinto ad occuparmi di questo caso, altrimenti meritevole di significativi silenzi, è che Burioni sia stato accolto come un autentico divo a Venezia, e abbia fatto la sua passerella, al pari degli altri divi, sul celebre tappeto rosso veneziano. Perché, visto che scienziati di ben altri meriti, con ben altri curricula e che godono di riconoscimenti internazionali di ben altro livello non sono mai stati invitati neppure al festival di Bagnacavallo, devo concluderne che la ragione di questo inopinato invito consista proprio nella spocchia, perfetta se di estrazione televisiva: ovvero che la spocchia, da difettaccio, sia divenuta il discrimine tra la gloria e l’anonimato.

Mi duole, ma ne prendo atto e, adeguandomi orwellianamente a questo mondo capovolto, da oggi in poi non mi filerò più nessuno che non abbia scritto, perlomeno, un poema epico in lasse assonanzate. E, magari, mi vedrete alla serata degli Oscar…

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