SARANNO ENERGIE PULITE, MA AMMAZZANO L’AGRICOLTURA

di PAOLO CARUSO (agronomo) – Le energie rinnovabili sono un tema che interessa l’opinione pubblica e i decisori politici per le implicazioni che riguardano la sostenibilità attuale del sistema produttivo, eccessivamente ancorato alle energie fossili. In quest’ultimo periodo sta montando il dibattito sull’opportunità di installare impianti fotovoltaici sui terreni agricoli, sottraendo aree coltivabili, con le relative implicazioni a livello di sicurezza e sovranità alimentare.

Grandi compagnie energetiche stanno setacciando il nostro Paese alla ricerca di spazi idonei all’installazione di mega parchi fotovoltaici, trovando, sempre più frequentemente, nei terreni agricoli la soluzione più adeguata alle loro esigenze.

Per comprendere le dimensioni del settore è utile riferirsi ai dati elaborati dal Gestore dei servizi energetici (Gse, gse.it), società controllata dal ministero dell’Economia che eroga gli incentivi per le energie rinnovabili. Il rapporto statistico “Solare fotovoltaico” del 2019 mostra la crescita del numero e della potenza degli impianti fotovoltaici negli ultimi dodici anni. Si è passati da 34.805 impianti nel 2008, con una potenza installata pari a 483 MW, a 880.090 impianti nel 2019, con una potenza pari a 20.865 MW.

Per arrivare ai 35 GW (Gigawatt) di fotovoltaico previsti dal Piano nazionale integrato si stima che sarebbero sufficienti 50mila ettari.

Disponendo di questo grande potenziale e di ingenti risorse economiche, questi grandi gruppi non trovano difficoltà a premiare gli agricoltori proprietari con offerte di acquisto anche fuori mercato, pur di accaparrarsi le loro terre. Purtroppo, spesso, trovano negli imprenditori agricoli una facile resa grazie al difficile momento che la nostra agricoltura attraversa e al paragone improponibile tra i ricavi del settore agricolo (sempre soggetti all’alea del rischio) a quelli più o meno certi, garantiti dalle compagnie elettriche.

Una soluzione che sembrerebbe mettere tutti d’accordo, o quantomeno chi la propone, è rappresentata dall’agrovoltaico (AGV), ovvero un settore, ancora poco diffuso, caratterizzato da un utilizzo “ibrido” di terreni agricoli, tra produzioni agricole e produzione di energia elettrica attraverso l’installazione, sugli stessi terreni, di impianti fotovoltaici che consentono anche alcune produzioni agricole.

Questa soluzione non è esattamente una novità, infatti i primi impianti che hanno sfruttato queste tecnologie sono state le serre fotovoltaiche. Ma questo iniziale esperimento non ha funzionato come sperato, soprattutto perché poneva gli agricoltori nella posizione riduttiva di semplici locatari, scavalcati dalle esigenze dei partner energetici; il guadagno tratto dal canone di locazione era sufficiente a considerare l’attività agricola come accessoria e ha portato sovente all’abbandono dell’attività agricola.

Una ricerca scientifica pubblicata da pochi giorni su “Agricultural Systems” da un team di scienziati tedeschi, dal titolo “An analytical framework to estimate the economics and adoption potential of dual land-use systems: The case of agrivoltaics”, esamina con particolare attenzione costi, benefici e criticità di questo sistema, arrivando ad evidenziare un calo nelle rese agricole, dovuto agli effetti dell’ombreggiamento, un aumento del costo dei macchinari e del lavoro e la perdita di margini di contribuzione agricola dell’area a causa della struttura di montaggio dell’agrovoltaico.

Questa riduzione di reddito riguarda più spiccatamente le aziende agricole che coltivano colture ad alto valore (ad es. le orticole), mentre per le aziende cerealicole la diminuzione di redditività è meno pronunciata.

Lo studio evidenzia la necessità per i decisori politici di mettere in atto sistemi adeguati di tutela e la necessità di implementare la ricerca nel settore.

Ma ciò che lo studio non prende in considerazione è l’impatto ambientale degli impianti e il segnale che l’adozione di questo sistema potrebbe fornire, ovvero l’abbandono dell’attività agricola a favore di una più redditizia e sicura.

Certo non ci sentiamo di condannare coloro i quali accettano le proposte di convertire i propri terreni al fotovoltaico o all’agrovoltaico: purtroppo la redditività delle aziende agricole a causa di politiche scellerate e miopi è arrivata ai minimi termini.

Segnalo però un progetto, dai contorni via via più definiti, che ha come obiettivo finale la disattivazione dell’agricoltura, condizione propedeutica affinché le proposte di compravendita, o affitto dei terreni agricoli, vengano accettate. Ad un povero agricoltore non sembra vero che qualcuno possa offrire il doppio del prezzo di mercato per un ettaro di terra che non conviene più coltivare.

Sul tema io la penso come il prof. Giuseppe Barbera, ordinario di Colture Arboree dell’Università di Palermo, paesaggista, che riferendosi al selvaggio proliferare di impianti eolici e fotovoltaici, ha dichiarato di non credere alla convivenza nella stessa unità di superficie tra coltura e fotovoltaico, soprattutto in assenza di una sperimentazione seria, e che bisogna pensare a nuovi paesaggi e alla tutela di quelli tradizionali o storici.

E comunque non possiamo nutrirci di energia solare…

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