FINGERE DI NON VEDERE IL DEBITO RECORD

di GHERARDO MAGRI – “Perché l’Italia meriti il credito di tutta l’Europa, deve cominciare a rispettare i debiti contratti.” Il riferimento potrebbe essere all’ennesimo record del debito pubblico appena conquistato: quasi 2.690 miliardi.

Invece no: le parole sono di Pietro Bastogi, ministro delle finanze del neonato Regno d’Italia, che nel lontano 20 aprile 1861, già metteva in allarme il governo sul potenziale pericolo.

Ci si aspettava, forse, che in centossessant’anni qualche politico ci mettesse una pezza. Macché. Freschi di vittoria calcistica europea, possiamo vantare anche questo primato in termini assoluti (un testa a testa con la Francia) e secondi solo alla Grecia nella percentuale con il PIL: 160%. Vuol dire che per ogni euro faticosamente prodotto ce n’è uno-virgola-sei di debito che incombe. I greci passano il 200%, che ci ricorda il sinistro scricchiolio di “fallimento paese”, sfiorato per poco nel 2015. Nel mondo siamo sesti, peggio di noi solo Giappone, Sudan, Grecia appunto, Eritrea e Suriname. Un’allegra compagnia di indebitati.

E pensare che in termini di ricchezza delle famiglie, dato basato sui depositi e sui risparmi, le statistiche sono chiare: siamo stati di gran lunga i migliori in Europa. Vantaggio che si va piano piano assottigliando con gli altri, ma siamo ancora in testa. Così come siamo tra i più parsimoniosi nell’indebitamento con carte di credito.

E dunque? Lo Stato cicala e le famiglie formica? Credo proprio di sì e, in un certo senso, i politici ci marciano. Sanno bene che gli italiani sono in grado di mandare avanti la baracca, conoscono bene la loro capacità di sacrificio. Come mai, nelle peggiori crisi economiche del passato, il sistema Italia non è mai saltato? Perché i capifamiglia di sicuro non si indebiterebbero mai così tanto e le banche, semplicemente, non lo permetterebbero mai.

Certo, il Covid è stato un acceleratore dei debiti pubblici, è stato anche dichiarato pubblicamente. Però, più prima che poi, bisognerà cominciare a pensarci seriamente. Magari senza ricorrere ai metodi montiani di “lacrime e sangue”, perché da noi questi approcci hanno le gambe corte. Insieme alla crescita, necessaria per rimettere a posto i conti, bisogna pensare al rientro del debito pubblico. Difficile sì, impossibile no. Sapendo soprattutto che il debito non è una paranoia da pedanti ragionieri, ma una pesantissima spada di Damocle che pende sulla testa del Paese: più l’Italia si indebita, più la sua sovranità finisce nelle mani dei creditori, alla faccia di tutti i sovranisti della nostra demagogia contemporanea.

Mario Draghi ha a disposizione uno straordinario flusso di cassa mai visto prima: i suppergiù 235 miliardi dell’Europa. Una pioggia di soldi che devono essere spesi anche per cominciare un piano di lungo periodo che riporti il debito su livelli accettabili. A occhio, però, leggendo le sei missioni previste, non ho visto esplicitamente dichiarato questo macro obiettivo. Abbiamo anche incassato un 10 e lode da Bruxelles, ma una domandina sul debito pubblico non ce l’hanno proprio fatta?

E non basterà Draghi da solo, anche quelli che gli succederanno dovranno prendere il testimone e poi ancora. Ci vuole un patto erga omnes che valga per qualsiasi colorazione politica e che si protragga nel tempo. Prenderei spunto dagli obiettivi sulla riduzione della C02: dimezzamento entro il 2030 e “debit neutrality” entro il 2050.

Potrebbe andare bene al ministro Bastogi? Per avere una risposta, dovremmo chiederlo ai suoi discendenti di ottava generazione.

 

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