SARA’ UN MARTE MOLTO TERRENO

di GHERARDO MAGRI – Perseverance, Al-Amal (Mars Hope) e Tianwen-1 sono i nomi delle tre missioni marziane attualmente in essere, di altrettante nazioni: USA, Emirati Arabi e Cina. Un mix mai visto prima, che dà esattamente l’idea di quanto sia importante la conquista della nuova frontiera spaziale rappresentata dal pianeta rosso.

Il freschissimo ammartaggio di Perseverance ci ha regalato le prime spettacolari immagini di una lunga serie destinata a entrare nella storia. Non è il primo rover che raggiunge Marte, l’antenato Mars Pathfinder nel lontano 1997 ne è il pioniere. Ciò che è cambiato radicalmente è l’orientamento della comunità scientifica, che ha individuato come primario l’obiettivo di scoprire se c’è vita nei desolati deserti marziani e se potrà essere questa la nuova casa dell’umanità.

Non solo le grandi potenze, tra le quali l’Europa, che ha posticipato al 2022 la sua missione in collaborazione con la Russia, come protagoniste assolute, ma anche privati come quel pazzo visionario di Elon Musk, entrato prepotentemente in scena con la sua Space X. Ha dichiarato il suo personale obiettivo: entro il 2026 vuole portare lassù i primi essere umani, anticipando di almeno sette anni qualsiasi altro concorrente. Ha dimostrato di saperci fare, aiutando gli americani a tornare a volare senza bisogno di navicellastop. Stiamo parlando di pochi anni, ci arriveremo senza accorgercene nemmeno.

Il vero punto da approfondire è perché ognuno vada per la sua strada. Al netto di collaborazioni sempre più strette tra i diversi stati, che riguardano più che altro forniture di materiali e servizi, non si vede all’orizzonte nessun progetto mondiale comune. L’obiettivo di ogni missione spaziale, e in particolare adesso quelle su Marte, è aumentare la conoscenza del pianeta e andare a caccia di possibili tracce di vita. Arrivando prima degli altri. Gli investimenti sono enormi e ognuno sta spingendo la propria ricerca al massimo. Ma mai come in questi momenti ci vorrebbe un piano strategico comune, in cui i migliori cervelli si mettessero a disposizione della comunità. Sarebbe un taglio di spese colossale e un’ottimizzazione ideale di risorse. Dai tempi della corsa frenetica russo-americana alla conquista della luna, siamo passati ad affrontare in ordine sparso una delle questioni più urgenti della nostra razza: la ricerca di una sistemazione adeguata delle future generazioni, posto che il nostro pianeta non ce la faccia più. Un piano B che sta diventando A più rapidamente di quanto possiamo immaginare.

Ci vorrebbe una sorta di ONU dello spazio che mettesse al tavolo i potenti della terra, pubblico e privato che lavorano fianco a fianco, nell’impresa più titanica della storia: trovare un accordo per come gestire insieme la terra promessa con nuove regole e leggi riscritte per l’occasione. Così magari da evitare le scene dei coloni americani che corrono con le bandierine per accaparrarsi il fazzoletto di terra nel selvaggio Far West.

Anche se a qualcuno è venuto in mente, nessuno ha fatto una mossa. Le menti e i talenti puri in giro per il mondo ci sono, anche tanti bravi italiani che popolano sempre più spesso le comunità scientifiche.

L’ostacolo più grande è sempre lo stesso: la mancanza di veri Leader Visionari e Umani che si prendano cura di un bene superiore, che valga di più dei propri interessi, locali e comunque limitati. L’unico che avrebbe il curriculum giusto per aprire i lavori ha la sua dimora in un piccolo stato nella città di Roma.

“Humanity first” è uno slogan che ci starebbe proprio bene. Sognare è un esercizio liberatorio, a volte. Solo il pensiero di poterci ricostruire un nuovo futuro, cancellando tutti gli errori del passato, è l’ispirazione di cui avremmo bisogno ogni giorno, a partire anche dalle piccole cose alla nostra portata. Peccato che poi, persino nella corsa su Marte, finisca per crearsi sempre e comunque l’ingorgo dei nostri egoismi e delle nostre piccinerie. Lassù ci porteremo l’uomo, certo, ma anche la sua incorreggibile umanità.

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