In molti avrebbero preferito il percorso inverso ma così vanno le cose della carta stampata, in crisi serissima. Renzi non è giornalista anche se del settore si è occupato così come il settore di lui sa tutto e molto di più.
Il suo annuncio roboante, nel maggio dello scorso anno, rientrava nel repertorio tronfio dell’ex primo ministro, ex segretario del piddì, ex dimissionario della politica, ma onnipresente e onnidicente come si compete a un toscano. Arrivava lui al “Riformista” e subito avvertì che niente nel giornalismo sarebbe più stato come prima, ci avrebbe fatto vedere lui. Otto mesi, la rivoluzione – la lezione – è durata otto mesi.
Renzi non lascia traccia e memorie particolari, la svolta editoriale non è stata segnatala nemmeno tra i parenti stretti, le vendite sono quelle che sono per qualunque foglio, quelli di partito, corrente, movimento, potrebbero ricorrere al ciclostile e il risultato sarebbe identico. Non si hanno memorie di editoriali storici, di scritti che abbiano provocato uno “sciak” e nemmeno un “bicòs”, la vita del fiorentino proseguirà nei dibattiti tivvù e in quelli del Senato della repubblica, là dove, però, non ci sono i correttori.
Al tempo dell’assunzione proclamò “Io non lascio, raddoppio!”. Meno di un anno dopo, lascia e dimezza.