di MARIO SCHIANI – E’ morta nei giorni scorsi a Milano, alla bella età di 95 anni, Pinin Brambilla Barcilon, una gentile signora brianzola – anche se a lei piaceva definirsi “una lombardaccia” – che tra il 1978 e il 1999 passò gran parte del suo tempo su un palco installato nel refettorio di Santa Maria delle Grazie. Suo compito, quello di restaurare l'”Ultima Cena” di Leonardo da Vinci, affresco che il tempo e i colori “sperimentali” usati nel XV secolo dal genio toscano avevano ridotto, fu lei stessa ad annotarlo, “a un crostone”. Ci vollero anni, pazienza, resistenza fisica (e morale, visto che non mancarono le polemiche), nonché talento e intelligenza, ma il lavoro fu compiuto. Pinin Brambilla restituì al mondo un’opera d’arte straordinaria.
La sua storia è la storia di una donna al posto giusto nel momento giusto, l’avventura di una persona nata apposta per soddisfare un’esigenza straordinaria, ovvero la necessità di trovare sui due piedi chi sapesse unire talento e ostinazione, passione e costanza, competenza ed entusiasmo. Se, oggi, l'”Ultima Cena”, o uno a scelta tra i tanti capolavori dell’arte italiana, avesse necessità di urgenti cure, ci sarebbe un’altra Pinin Brambilla pronta a rispondere alla chiamata? Possiamo sperarlo, visto che il restauro è oggi insegnato più diffusamente che nel passato (la stessa Pinin fondò una scuola, “La Venaria Reale” in provincia di Torino), ma sarebbe anche lecito dubitarne, visto che i talenti puri, assoluti, in Italia faticano a emergere e il motivo è vecchio come il mondo: la disponibilità di denaro.
Lo ha denunciato senza tanti giri di parole il direttore della Scuola Normale di Pisa, Luigi Ambrosio: l’ascensore sociale è fuori servizio. In altre parole, a una scuola nata per decreto napoleonico al preciso scopo di valorizzare i talenti e le intelligenze al di là delle disponibilità economiche, si iscrivono solo i figli dei ricchi.
Nel suo discorso all’avvio dell’anno accademico, il professore si è soffermato sul “fenomeno crescente della sempre più alta estrazione sociale dei nostri allievi”: un tempo, ha aggiunto, “non era così”. La scuola di Pisa, nella quale hanno studiato, tra gli altri, i Nobel per la fisica Fermi e Rubbia, quello per la letteratura Carducci e i presidenti della Repubblica Gronchi e Ciampi, ha sempre offerto a giovani di modesta estrazione la possibilità di studi d’eccellenza, ma oggi, se l’offerta resta in teoria disponibile, ben pochi la raccolgono. Il problema è particolarmente evidente alla Normale ma, spiega Ambrosio, riguarda tutta l’Università: solo i figli di genitori laureati, di insegnanti e professionisti, studiano. E a loro, di conseguenza, sarà più facile avvicinarsi a traguardi di prestigio; solo su loro il Paese, ammesso e non concesso che non se li faccia scappare, potrà contare per assicurarsi un adeguato sviluppo culturale e intellettuale ovvero, in altre parole, un futuro da nazione progredita e civile.
Che i ricchi godano di una partenza avvantaggiata nella vita è una novità solo da qualche millennio, ma si era notato negli ultimi decenni un vivo sforzo a individuare nell’istruzione una forza di riequilibrio sociale. Che poi questo tentativo sia a volte degenerato nell’appiattimento al basso, nell’abolizione del merito e in una sorta di rappresentazione parodistica della democrazia, è anche vero, anzi verissimo. Oggi però la tendenza si è invertita al punto da allarmare il responsabile di una scuola come la Normale: non vogliamo istruire solo i ricchi, qui, altrimenti non c’è più ragione della nostra esistenza. Un istituto teso alla trasmissione del sapere bada ai cervelli, non ai portafogli. Oggi invece contribuisce a dividere ancor di più il Paese tra chi sa e chi non sa, tra chi può e chi non può, e produce competenze che, per paradosso, andranno ad aiutare la crescita di altre nazioni, perché qui l’intelligenza è diventata, letteralmente, un lusso. Tanti atteggiamenti di fronte a questa maledetta pandemia, assunti da chi avrebbe autorità e responsabilità, lo rivelano senza possibilità di dubbio. Addirittura, questa tendenza finisce per frapporsi allo sforzo verso le pari opportunità tra i sessi: alla Normale gli iscritti maschi superano di buona misura le femmine.
E così, piano piano, il nostro è un Paese che svanisce, un po’ come il convivio di Leonardo, solo che non si vede chi possa salvarlo. Se c’è, sta probabilmente facendo uno stage a New York; se è in gamba, rimarrà laggiù.