C’è una cosa ed è quella che non può non essere definita ottusità.
Non mi stupisce la disuguaglianza nei confronti degli altri passeggeri, che pure è evidente e che qualcuno ha incorniciato con la formula “lei non sa chi sono io”. Non la tracotanza, che pure immagino travestita, con abiti paternalistici e ringraziamenti di circostanza ad uso e consumo dei testimoni.
No, l’ottusità. L’assunto scontato è che lui non è uguale agli altri, ma la cosa che fa ridere è l’incapacità di considerare che in fondo era persino un’occasione per acquisire popolarità e simpatia. Senza proclami, senza toni accesi, bastava semplicemente attendere il cronista e dichiarare che come gli altri lavoratori a bordo era rimasto vittima di un intoppo, né più né meno e né più né meno dei suoi connazionali e, semmai richiesto, perché mai avrebbe lui dovuto godere di privilegi che gli altri mai potrebbero avere?
Vuoi mettere il guadagno sul consenso? E invece no.
E invece prevale l’ego, la prevalenza della carica, il presenzialismo e in ultimo, ma tutt’altro che ultimo, un certo petto in fuori e un certo sentirsi sul piedistallo.
Nonostante il cognome, neppure recitare gli viene bene.