LE TREMENDE PALLATE DI DJOKO SULLA FAVOLA DI SINNER

Il nostro uomo era Matteo Berrettini, moro bronzo di Riace che un anno fa con Nole Djokovic si era giocato Wimbledon in finale, perdendola. Il romano però ha lasciato l’Inghilterra 10 giorni fa, senza giocare neanche un game causa Covid. Allora è toccato a Jannik Sinner, 21 anni tra un mese, rossiccio bolzanino che di italiano, a parte nome, cognome e connotati ha tutto il resto. Lui, Djokovic, 35 anni compiuti a maggio, se l’è trovato ai quarti con mezza famiglia reale in tribuna, e non è che sia partito bene: 4-1 e palla del 5-1 per Nole al primo set, andiamo bene.

No, non andiamo bene: andiamo meglio, andiamo alla grande. Jannik ha messo le marce alte rimontando forsennatamente, annichilendo l’ex pluri numero uno al mondo e portandosi a casa il 7-5. Testa, gambe, braccia, fantasia. Coraggio. Ci ha messo tutto, l’altoatesino, e ha continuato con la ferocia, la classe che lo ha reso uno degli orizzonti più luminosi di questo sport che non ti stancheresti mai di guardare. E di giocare, potendo. Quella fiche sulla casella Berrettini l’abbiamo spostata col ditino, furtivamente, su quella di Sinner, che proprio alla scuola Djokovic è cresciuto e ha imparato.

Mentre Paolo Bertolucci, al fianco di Elena Pero, ci spiegava col suo garbo istrionico il come e il perché (“Non ha ancora nome, ma mezzi e qualità”), Jannik triturava tennis palla dopo palla, costringendo il maestro a saltellare da un angolo all’altro, qualche volta con confidenza persino eccessiva e un po’ di incoscienza. Che del resto, per battere un monumento, è necessaria come un ace o uno smash.

Nole ha rialzato la testa con orgoglio, aprendo tutte le sue valigie ricolme di tecnica ed esperienza, ma la maschera su cui Jannik disegna al massimo un mezzo sorriso o un accenno di smorfia, è rimasta sul filo dell’impassibile. Stringendo i pugnetti per compiacimento, tutt’al più, mentre Djokovic accoglie felice qualche nastro fortunato e doppi falli, fino al 6-2 del secondo set.

Djokovic rientra negli spogliatoi sul 2-0 per Sinner. Rientra oltre che per la pipì a radunare forza e idee probabilmente. Fatto sta che sulle comete in arrivo dall’altra parte della rete, comincia sempre più spesso a scuotere il capo, sospirando al cielo. Impreca, scalcia, chiede “scusa” in italiano. Nulla che faccia presagire la resa, per un gigante, ma evidente disappunto, che lo stesso Nole – 6 volte campione a Wimbledon – cerca di arginare con potenti aces: sul punto di battuta non si gioca, diventa una soluzione di rifugio mica male a un certo punto. Funziona: 6-3 nel terzo set per il serbo, che adesso è un rullo, alza il ritmo e non sbaglia più.

Jannik vibra in testa, perde quota, si accendono le spie: benzina, gomme, batteria e computer di bordo vanno in tilt sulle sciabolate dell’avversario. Anche se sembra che non sudi, la fatica abbaia e morde. Sul 5-2 nel quarto, 40-40, l’italiano  color arancio conclude uno scambio spettacolare girandosi sulla caviglia, ma continua. Passa Nole 6-2 e siamo 2-2 dopo 2 ore e 59 minuti.

Il quinto set è tutto un ondeggiare in equilibrio su un filo e con balzi fra i trapezi. Parte bene Sinner, ma Djokovic sorpassa 3-1. Spara prime palle dalla balestra. Il ragazzo italiano è in ginocchio, ma risale. Tiene botta contro un muro di gomma che ormai rilancia di là qualsiasi cosa lo sfiori. Djoko ha iniziato a sgretolare il nostro dopo un’ora e mezza di surplace e non ha più smesso. A Jannik sotto 5-2 non resta che aggrapparsi con i denti a una salita verticale, ma è finita.

Peccato, peccato davvero. Poteva essere un capitolo di storia, una storia nuova: quella di Jannik Sinner. Resterà solo una bella pagina del leggendario album di Wimbledon. E di Nole Djokovic.

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