L’ASSENTE FASCINA

Non è del dolore di questa inconsolabile Fascina, vedova Berlusconi, che bisogna parlare. Almeno non ne voglio parlare io, perchè il lutto personale sta dentro un recinto invalicabile, a prova di occhiuti pettegoli e di giudici faciloni. No, per la Fascina vedova non bisogna spendere neanche una parola. Sono cose sue e non ci devono riguardare.

Molto invece andrebbe detto, quanto meno ho moltissimo da ridire io come cittadino italiano, della Fascina deputata. Già prima dell’illustre decesso e della vedovanza non si era segnalata come tra i parlamentari più alacri, ma ultimamente sta polverizzando tutti i record, tra l’altro in una nazione che come sappiamo vanta comunque una luminosa tradizione nel ramo assenteismo: nel periodo più recente, su 3395 votazioni, risultava presente 18 volte. Il resto, latitanza.

Già i modi della sua elezione resteranno scritti per sempre tra le pagine più imbarazzanti della repubblica: a un certo punto suo marito le regalò – tra una villa e un diadema – un collegio sicuro, a Trapani, lei che di quel collegio – come tenne a precisare con orgoglio – conservava un ricordo bambino di quando il papà la portò in vacanza nella zona. Ma anche con un inizio simile, neanche il più disilluso avrebbe mai immaginato sviluppi così eclatanti. La Fascina è di fatto il fantasma in carne e ossa della democrazia italiana, il che potrebbe anche passare per un problema suo e del suo partito, ma in realtà è un’enorme ingiustizia e una pesante offesa al Paese.

Certo sarebbe anche una questione di soldi, dopo tutto, perchè continua a incassare i 12mila euro della paga parlamentare, tra parentesi non essendo neppure così tanto indigente dopo il lascito di 100 milioni del compianto consorte. Sarebbe anche una questione di soldi (nostri), ma è chiaro ed evidente come sia invece una più importante questione morale. Con il caso Fascina, torna in gioco l’eterno tema della politica alta, intesa come impegno e servizio, insomma una faccenda tremendamente nobile, peraltro perennemente disattesa da una pletora di mediocri che una volta sgraffignato il posto a Roma lo trattano e lo considerano più o meno come il proprio deposito bagagli.

Non è un tema secondario, è il tema primario della democrazia: se i delegati in Parlamento dimostrano un simile disinteresse, una così avvilente considerazione per il sacro ruolo parlamentare, come possiamo pensare che il popolo possa ritrovare un giorno il rispetto e la stima per quel ruolo fondamentale.

Questo e altro, ma non è il caso di farla più lunga. Per chi conservi una residua fede nella politica alta e nella democrazia repubblicana, la Fascina non è più accettabile. E’ indifendibile. Se il suo dolore è così paralizzante (ma prima del lutto, quando lui era bello pimpante, cos’è che la paralizzava?), se davvero non ce la fa ad uscire dal suo bunker di afflizione, un minimo sindacale di serietà dovrebbe indurla a dimettersi dal ruolo. Non di vedova: di deputata. Lasci ad altri, non necessariamente più intelligenti di lei, ma almeno più presenti e più consapevoli della delicata missione, quel posto a Montecitorio. Sarebbe anche un modo nobile di lasciare una traccia nella politica e nella storia d’Italia. La prima.

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